venerdì 23 dicembre 2011

Punto Bianco e Punto Nero



Ho intitolato questo quadro "punto bianco e punto nero".
Alle estremità di un mondo a colori, vi sono gli opposti, che fanno parte della nostra vita, da sempre.  Giorno e notte, maschio e femmina, destra e sinistra, caldo e freddo, bianco e nero...Ogni simbolo (ed il colore è uno dei simboli più forti e riconoscibili) è composto da due facce, che si compensano, si integrano, si oppongono e attraggono (anche nel nostro sistema nervoso vi sono meccanismi di "antagonismo"...). 
La nostra complessità che ci distingue gli uni dagli altri è la nostra ricchezza, bellezza. Mai potremmo e dovremmo smettere di stupirci di fronte a tale complicata e pur semplice ragnatela di pensieri, emozioni, affetti, che abbiamo creato e siamo. 
Così come una costruzione di colori e sfumature e luci, dai chiaro-scuri intellegibili e magici, dovrebbe essere tutelata e conservata, nel rispetto per la cultura, la tradizoine e la storia dell'uomo, noi ci dovremmo prendere cura di ciò che siamo e dei nostri simili, della vita attorno, in ogni attimo, in ogni respiro.
Namaste.

Progetto e basi

Istituto medico Santa Chiara Gallarate. C.Polli architetto.
















"Fondare la ricerca per il progetto del colore sulle complessità delle discipline percettive e sulla comunicazione visiva, si pone come premessa metodologica e come condizione scientifica.

Partire dal dato percettivo e dal contesto semantico è una scelta coerente per un progetto che considera le caratteristiche dell'essere umano e mira alla qualità ambientale del sistema uomo-spazio di vita."

(D.A. Calabi, "Colore, texture e contributi di Basic Design", in: "Lo scenario del colore", a cura di V. Vezzani, Aracne, Roma, 2009)

Per progettare e analizzare la componente colore, partendo dall'uomo e dalle sue caratteristiche, come dice D. A. Calabi, bisogna anche iniziare ad esplorare il mondo della percezione e delle discipline ad esso collegate.
Attraverso lo studio, per esempio, della psicologia ambientale, è possibile comprendere come avvengano certe interazioni tra uomo e ambiente; conoscenza questa indispensabile per progettare ambienti (esterni o interni) rispondenti ai bisogni psico-fisici dell'uomo. Il progetto colore, che dovrebbe insistere su due specifici obiettivi - l' attenzione vs la qualità ambientale dei luoghi abitati (rispetto del  sistema uomo-spazio di vita) e l' attenzione vs le caratteristiche dell'essere umano - viene sostenuto quindi da un apparato multidisciplinare, finalizzato ad accrescere la consapevolezza della propria operatività e a costruire una metodologia concreta.

Tra le varie discipline d'apporto, troviamo:

la Psicologia ambientale, analitica, cognitiva, funzionale, sociale
la Psicologia della Gestalt
le Neuroscienze
la Prossemica

















PILLOLE

Secondo lo psicologo James Gibson (di cui già abbiamo parlato) la percezione visiva dell'ambiente avviene in un contesto che comprende:
la situazione fisica (tipo di spazio in cui ci si trova)
lo stato psicologico dell'osservatore (se siamo allegri, tristi, arrabbaiti, etc.) 
lo stato fisiologico dell'osservatore (siamo assetati, stanchi, infreddoliti, rilassati, etc.)

            














                                  
Le informazioni che percepiamo dall'ambiente, sono selezionate attraverso schemi preesistenti nella nostra mente,  che dirigono la nostra attenzione a certi aspetti piuttosto che ad altri. (Concetto di schema secondo Gibson e Neisser).
Un ambiente nuovo attiva in noi una serie di aspettative, legate alle nostre esperienze precedenti ( e quindi ad uno schema), che ci portano a cercare categorie rispondenti allo schema stesso.















AFFORDANCE: termine intraducibile introdotto nel 1966 da James J. Gibson. Rappresenta l'immediatezza con la quale l'oggetto comunica che cos'è e a che cosa serve, quali azioni renda possibili o impossibili.
Per  AFFORDANCE AMBIENTALE si intende uno scenario in grado di comunicare con immediatezza tutti i dati necessari per l'orientamento e per la fruizione (utilizzo) dell'ambiente stesso.
Le affordances concorrono a determinare l'attaccamento delle persone ai luoghi.


domenica 4 dicembre 2011

Relazione con l'ambiente e Cromie d'autunno

RELAZIONE INDIVIDUO-AMBIENTE












Viviamo in costante relazione con lo spazio, sia endogeno (rapporto con noi stessi), che esogeno (la realtà attorno).
Ogni volta percorriamo, attraversiamo o abitiamo un luogo, la parte istintuale del nostro cervello analizza la situazione nella sua totalità. Guardandoci attorno cerchiamo di capire, mediante i segnali presenti, se vi siano le condizioni biologiche ottimali per sopravvivere o se ci siano minacce, pericoli, etc.
Il cervello legge, interpreta, analizza, compara, cerca differenze o uguaglianze mediante ciò che conosce, utilizzando i propri parametri e filtri (esperienza, cultura, aspettative, situazioni...).
Nel momento in cui percepiamo un ambiente come accogliente, inoffensivo, piacevole, proviamo la sensazione di benessere.
La percezione di un ambiente avviene attraverso una serie di canali sensoriali attivi contemporaneamente.
Oltre alla percezione visiva, olfattiva, gustativa, tattile, uditiva, vi sono i segnali percettivi di posizione, equilibrio, temperatura, sullo stato di benessere o disagio psico-fisico.

L'individuo capta un continuo flusso di informazioni.







In genere l'ambiente viene percepito come un tutto unitario, in relazione funzionale al comportamento dell'individuo. Vi sono teorie, opposte, che spiegano tale caratteristica percettiva: per esempio il modello a lente di Brunswik (1956) e quello ecologico di Gibson (1957, 1966, 1979). Mentre per B. la percezione è collegata strettamente all'esperienza personale, per G. l'esperienza non gioca nessun ruolo nella percezione, poiché la maggior parte delle risposte percettive sono innate e dipendono dal funzionamento di alcune parti del cervello.
James Gibson, psicologo, si interessò soprattutto alla percezione che ha luogo nell'ambiente naturale e per tale ragione il suo approccio venne chiamato ECOLOGICO.
Egli definì ASSETTO OTTICO la struttura o distribuzione della luce nell'ambiente. L'assetto ottico cambia a seconda di come l'osservatore si MUOVE nello spazio (la maggior parte delle nostre percezioni hanno luogo mentre ci muoviamo).
Individuò inoltre alcune INVARIANTI dell'ambiente: il GRADIENTE di TESSITURA, che si costituisce quando una superficie caratterizzata da una tessitura, appare ad un osservatore inclinata rispetto al suo piano fronto-parallelo. I singoli elementi appaiono più fittamente ammassati, più è maggiore la distanza.

La STRUTTURA del FLUSSO OTTICO, ovvero il flusso degli stimoli che dall'ambiente giungono all'occhio dell'osservatore in movimento. (Es. Dal finestrino del treno le immagini vicine sembrano passare più rapidamente di quelle lontane).
Il RAPPORTO di ORIZZONTE, cioè il rapporto tra la parte di un oggetto che supera la linea di orizzonte e la parte che ne rimane al di sotto.
Secondo Gibson la percezione visiva dell'ambiente avviene in un contesto che comprende:
La situazione fisica (tipo di spazio in cui ci si trova)
Lo stato psicologico (se siamo allegri, tristi, arrabbiati, etc.)
Lo stato fisiologico (siamo assetati, stanchi, infreddoliti, rilassati, etc.)












Altre caratteristiche invarianti dell'ambiente sono:

il gradiente di salienza
il gradiente di tinta
il gradiente di luminanza














Percepire la realtà attorno a noi, vuol dire essere in grado di cogliere/captare particolari e dettagli.

Percepire è un atto culturale, diverso dal "vedere", azione fisica e fisiologica.

Come "ascoltare" è ben differente dall'atto di "sentire" o "udire", in quanto implica attenzione e capacità di "porsi in relazione" con l'altro, anche "osservare" è qualcosa di più che "guardare". 
E' proprio attraverso l'attenzione che riusciamo ad andare oltre e a distinguere le sfumature, le ricchezze che la vita in tutte le sue meravigliose sfaccettature ci può regalare.













Fermarsi, darsi tempo, leggere tra le righe e osservare i particolari, che creano a volte differenze e discrepanze interessanti; assaporare i giochi di luce, le gibigiane, le ombre, i chiaroscuri; mettersi in ascolto con tutti i sensi, per non perdere quel raggio di luce, quel respiro del vento, quel momento magico...
Ritrovare il senso...
Abbiamo bisogno di questo. Per ricollegarci al vero scopo della nostra esistenza.Per dare un obiettivo valido al nostro lavoro.  Per innamorarci ancora delle foglie d'autunno.




giovedì 27 ottobre 2011

CONVEGNO

Il 25 ottobre 2011, presso la Sala Cantelli di Novara, si è svolto il convegno "Alzheimer e lavoro di cura: sono possibili nuove proposte?", indetto dal Centro Maderna di Stresa, in collaborazione con la Provincia di Novara, l'Asl e CSV di Novara. Tra i relatori la dott.ssa Luz Cardenas, psicologa e la dott.ssa Anna maria Melloni, direttore del Centro Maderna. 
 

Credo siano importanti questi momenti di osservazione, confronto, dialogo, riflessione con operatori facenti parte di realtà diverse, al fine di far luce, il più possibile, su scenari di progettazione che potrebbero interessarci, in qualità di designers ed architetti.
Se è innegabile che le variabili progettuali nell'ambito degli spazi di cura siano ancora molte, altrettanto innegabile è il fatto che il progetto diviene parte integrante del protocollo terapeutico e che - da convinzioni scientifiche assodate - l'ambiente influenzi  lo stato psicofisiologico dell'individuo. 
E' conseguenza diretta il considerare il progetto cromatico come RISPOSTA ai bisogni dell'individuo, come SUPPORTO, come elemento qualificante e d'aiuto nella strutturazione di ambienti adeguati.





RIFLESSIONI:
  • E' necessario implementare il numero e la progettazione di strutture residenziali dedicate all'ospitalità di malati Alzheimer.
  • La progettazione non si esaurisce nel design d'interni, ma dev'essere interdisciplinare, integrata, partecipata. Poiché ancora sperimentale, abbisogna di continue verifiche nel tempo. Deve soffermarsi sui bisogni dell'uomo.
  • Le problematiche legate ai differenti casi e al decorso in stadi della malattia, rendono obbligatoria un'apertura verso nuovi sistemi progettuali e un costante confronto tra diverse figure professionali.
  • Una fase metaprogettuale, la realizzazione conseguente di un progetto percettivo cromatico e la sua verifica, può divenire momento di confronto utile per una riqualificazione di ambienti preposti alla cura e assistenza.



 








Il mio contributo al convegno si è basato sul cercare di comunicare l'importanza dell'apporto di un progetto cromatico percettivo all'interno di spazi di cura per malati di Alzheimer.

Abstract dell'interevento
Il processo di percezione e conoscenza dell'ambiente avviene mediante l'interazione tra il soggetto e l'ambiente stesso (M.R. Baroni). Affinché gli spazi di cura possano rispondere al bisogno umano di riconoscimento dei luoghi, di orientamento ed equilibrio biologico, bisogna tener conto dei processi cognitivi e percettivi dei soggetti che "abitano" tali spazi. Attraverso il progetto cromatico sperimentale, è possibile ridefinire un modello di spazio protesico, leggibile, figurabile (K.Lynch), di supporto. L'attenzione dell'intervento viene posta sulle caratteristiche generali del progetto cromatico in luoghi di cura.



venerdì 14 ottobre 2011

DISCILPLINE e confronti

Il mondo del design e dell'architettura è costituito da microcosmi e macrocosmi, che non possono essere tra loro disgiunti, ma considerati come insiemi e sottoinsiemi di un'unica realtà, quella dell'uomo e del suo ambiente.  Obiettivo primario del design è infatti indagare l'ambiente vissuto, mettendo al centro dell'attenzione i bisogni dell'uomo. Spazi, luoghi, oggetti non divengono così solo volumi, superfici, materiali...ma scenari dove avvengono relazioni, storie, emozioni, vita.











Il color designer, che lavora su piani diversi, parte quindi da un approccio percettivo finalizzato  alla lettura di un contesto, per arrivare ad un progetto cromatico inteso come risposta ai bisogni degli individui che abitano quel luogo.

Studiare e lavorare con il colore significa rapportarsi a differenti aree.
Vi sono discipline che STUDIANO il colore: fisica (in particolare l'ottica per ciò che avviene all'esterno del sistema visivo); chimica (studio delle sostanze colorate e coloranti); fisiologia; psicologia (interpretazione dei segnali nervosi e percezione del colore); psicofisica (la colorimetria per la relazione tra lo stimolo e la risposta del sistema visivo); matematica (modelli rappresentativi della visione del colore);
e discipline che si OCCUPANO di colore: simbologia, storia, antropologia, comunicazione, architettura, design, arredo, paesaggistica, restauro, grafica, moda, cosmesi, medicina, alimentazione...

Il progettista interessato ad un progetto per l'uomo, sa del resto che un'analisi consapevole non pùò escludere lo studio di discipline come la Psicologia Ambientale, le Neuroscienze, o la Sociologia.
Un metodo progettuale che abbia carattere interdisciplinare, conduce sempre a confronti attivi e costruttivi, dalla fase di metaprogetto fino a quella conclusiva dell'esecutivo e della verifica.

Connessioni, fusioni, dialoghi avvengono tra sistemi ed aree diverse, ma tra loro compenetranti. Arte, musica, fotografia, teatro, cinema si legano ad architettura e design, costituendo mondi e sperimentazioni dai quali trarre insegnamenti continui.



Dan Flavin. Villa Panza, VARESE
















Le installazioni di Dan Flavin, per esempio, attarverso l'uso di colore e luce ci conducono verso materici spazi, dove possiamo cogliere atmosfere e simbolismi, sperimentando la percezione del colore come elemento che muta luoghi, li reinventa, li ripropone e li fa esperire anche mediante l'emozione.

venerdì 30 settembre 2011

A proposito di comunicazione...

Lo so, capita spesso, troppo spesso, di non capirsi. Di non riuscire a comunicare. La parentesi sulla "comunicazione" sarebbe davvero estesa, perciò mi limito a rimanere nell'ambito colore. 


Foto arch. Giacomo Rizzi


Utopia potrebbe significare desiderare, in un mondo perfetto, progetti grafici d'architettura o design, di massima o fase concept,  riportanti le indicazioni dei colori scelti, mediante precisi codici di riferimento e non con terminologie tanto simpatiche  quanto di  dubbia interpretazione, tipo: parete "giallo chiaro", "ocra", serramento "grigio RAL", fondo "rosso mattone", infisso "color legno chiaro"...e chi ha più fantasia continui pure!
C'è da chiedersi cosa si intenda per "giallo chiaro" vista la gamma estesa di gialli, o quale possa essere il grigio RAL se non vi è il codice numerico. Eppure, nel nostro mondo, ci si esprime ancora così. Forse perchè si pensa che il colore sia poco importante? O perchè lo si relega nella sfera decorativa (e quindi non essenziale ai fini della spiegazione di un progetto)? O perchè costa sforzo informarsi, aggiornarsi, collaborare magari con chi si occupa nella fattispecie di progetto cromatico? 
Purtroppo la stessa incomprensione, che da adito a problemi gestionali e a volte a fraintendimenti che sfociano in errori pratici, esiste anche in "cantiere". L'applicatore non sempre ha voglia di confrontarsi col progettista, oppure lo vorrebbe ma mancano i disegni grafici riportanti i codici colore e le allogazioni. Nessuno ha colpa...; però, sempre nel mondo perfetto di prima, dove tutti usano i codici (faccio un esempio: utilizzo del sistema NCS) per scambiarsi le informazioni necessarie alla buona riuscita del progetto e si svolgono adeguate verifiche, collaborazioni verbali e responsabili da ambo le parti, si evitano situazioni paradossali.  Non capita di sentire il professionista che con aria truce apostrofa il decoratore con la frase tipo: "Ma come! Il bianco sulla parete non è quello di cui avevamo parlato"...
Quale bianco? Ve ne sono troppi per non doverli citare attraverso codici di riferimento concreti, scientifici e che permettono di mettere tutti d'accordo. Abbiamo bisogno di un aiuto in tal senso per uscire dalle parole che nulla dicono e spiegano. 
















Tutti sappiamo, per esempio, riconoscere il simbolo della figura qui sopra riportata. Se la nostra percezione ce lo permette sappiamo anche riconoscere le tinte dello sfondo e della figura; ma se volessimo riproporle in un progetto e comunicarle ad un applicatore, o al committente, o ad un ente, o ad un'azienda...senza dei codici come potremmo pretendere di vederli riprodurre fedelmente?

martedì 20 settembre 2011

CONFERENZA del COLORE

VII° Conferenza Nazionale del Colore
15-16 Settembre 2011 – Sapienza Università di Roma



Nell'atmosfera antica di una città che sempre regala emozioni, il convegno si è svolto con una carrellata di interventi dalle manifeste eterogenee sfaccettature. Credo lo spirito giusto per approcciarsi ad eventi culturali di tale definizione, sia quello di cogliere il più possibile nuovi spunti per ridisegnare il proprio punto di vista (rimettendosi quindi in discussione sulla propria metodologia o sui presupposti teorici del progetto... ) e per aggiornarsi sulle ricerche e gli approfondimenti effettuati negli ultimi anni.
Sono convinta per un professionista sia fondamentale riflettere su quanto accade nel territorio vasto della ricerca e comprendere altre linee di pensiero, al fine di instaurare una sinergia collaborativa col mondo “fuori” senza indulgere nell'arida pretesa di essere nel giusto “sempre” e “a prescindere”.

Per citare, tra i molti, qualche validissimo esempio-spunto di riflessione, vorrei ricordare gli interventi di: Mariacristina Giambruno e Rossana Gabaglio (Politecnico di Milano) , “Colore e architettura esistente. Riflessioni tra conservazione e progetto” (nel quale si sottolinea come il dibattito sul colore del costruito nei centri storici sia sempre attuale, che occorre una re-definizione di “piano” in “progetto” e che “il colore può rappresentare un volano per la riqualificazione urbana”); Salvatore Zingale, Cristina Boeri, Marilisa Pastore, (Dip. INDACO Politecnico di Milano) “Colore e wayfinding: una sperimentazione all'Ospedale San Paolo di Milano” (“ricerca sperimentale tesa ad indagare le possibilità di generare orientamento attraverso il progetto colore negli spazi interni”); Lia Luzzatto, “Il colore globalizzato”, (analisi del colore nella comunicazione globalizzata).


Non starò comunque a riassumere le numerose tematiche trattate alla conferenza. Chi volesse leggere gli atti può rivolgersi a “Maggioli Editore” e acquistare il testo relativo (vedi immagine riportata).


martedì 6 settembre 2011

CURIOSITA'

Qualche notizia...

L'essere umano percepisce la parte dello spettro elettromagnetico compresa tra i 380 e i 760 nanometri circa.
Per il restante “spazio” siamo creature cieche.
Ciò è dovuto al fatto che i primi occhi si sono evoluti in animali (nostri antenati) che vivevano in acque melmose. Le radiazioni dell'intervallo che noi percepiamo sono le sole capaci di penetrare nell'acqua. L'evoluzione dei meccanismi biochimici si fonda su tale visione di base.
Sono trascorsi 5 miliardi di anni abbiamo subito un'evoluzione che ci ha portato a vivere stabilmente sulla terra ferma, ma i nostri occhi rimangono sensibili a quella porzione di spettro.












Durante il giorno percepiamo la realtà esterna attraverso una serie di cellule presenti nell'occhio e nel cervello. I CONI, cellule fotosensibili nella retina, trasformano la luce in segnale elettrico. Il cervello lo rielabora e interpreta come visione. (Visione fotopica)
Nella retina sono presenti 3 tipi di CONI che rispondono in modo diverso alle lunghezze d'onda della luce e inviano alle cellule tre segnali distinti, durante il percorso visivo. L'occhio e il cervello, analizzando questi tre segnali, attribuiscono diverse sensazioni alle lunghezze d'onda. Tali sensazioni vengono comunemente chiamate COLORI.
Nella notte i coni non vengono stimolati (luce presente insufficiente). Si attivano quindi altre cellule fotosensibili presenti nella retina, i BASTONCELLI, aventi sensibilità alla luce molto superiore ai coni. (Visione scotopica).
Di giorno sappiamo distinguere i colori. Di notte solo i livelli di luminosità, dal chiaro allo scuro.










CURIOSITA' in Bianco e Nero
Prime grotte con segni grafici NERI a Lascaux 15.000 a. C.  (Il Grande Toro)
La prima volta che il colore appare come caratterizzazione  e distinzione sociale attraverso l'abito, è nel XII secolo, con l'uso del NERO cluniacense (Cluny) dell'umiltà e rinuncia, contro il BIANCO cistercense (Citeaux) dell'innocenza e virtù. I monaci si identificano col colore del prorpio abito.
Tutti i vecchi sistemi di colore si trasformano con l'avvento dei primi stemmi, verso la metà del XII secolo. (Araldica).
Nel XVII secolo l'arcobaleno attira l'attenzione dei più grandi scienziati (Galileo, Keplero, Cartesio, Huyghens) e anche di teologi.
Isaac Newton (1642-1727) scopre lo spettro nel 1665/66, ma le sue teorie vengono rese pubbliche solo nel 1704 con la Summa sull'Ottica.
Attraverso gli studi fisici sulla luce Newton elimina Nero e Bianco dallo spettro. Da quel momento Nero e Bianco vennero considerati NON colori.

Ormai tale distinzione non esiste più e Bianco e Nero vengono considerati COLORI a tutti gli effetti.


martedì 26 luglio 2011

A..."PAGINA 20"

PAGINA 20, forse perché proprio su quella pagina ho scritto la cosa più importante, da ricordare, da andare a rileggere...ogni tanto...

Esprimere con le sole parole ciò che si sente, non sempre si può. Il corpo ABITA sensazioni, percezioni, emozioni, sentimenti, pensieri.
Nel testo compare, in modo trasversale, la metafora dello spazio abitato, del corpo abitato. L'ambiente chiuso, l'ambiente aperto e il tema del costruire, divengono basi ed intrecci del racconto.

PAGINA 20 è in realtà un libro "aperto", che il lettore può usare e progettare come interfaccia, note-book, diario, strumento di condivisione, di vissuto, dinterazione. Un libro da leggere, da ri-scrivere, da pasticciare e colorare, da regalare.

Una sorta di scatola che contine altre scatole, come una casa che contiene tante stanze...

I libri si possono leggere, scrivere, disegnare e sognare...


"Pagina 20", di Cristina Polli ed Elena Giunta, La memoria del mondo libreria edtrice.







domenica 17 luglio 2011

Colore: attributi, caratteristiche.

 Un po' di cenni basic.


 

TINTA (hue). E' la caratteristica di un colore riconducibile alla sua denominazione, che conosciamo come rosso, giallo, verde, etc.
CHIAREZZA (lightness). Concettualmente ogni colore se aumentato molto in chiarezza tende ad un bianco acromatico e se diminuito in chiarezza, cioè se scurito, tende ad un nero acromatico.
SATURAZIONE (saturation). Quanto vivace ci appare un colore? Se molto attenuato o desaturato, esso tende ad un grigio acromatico.
(Le definizioni precise derivanti dalla Colorimetria, si possono trovare nei testi di Claudio Oleari)

Colore intrinseco. Colore la cui identificazione avviene mediante strumenti di rilievo colorimetrico.
Pseudo-intrinseco
. Colore di una data superficie osservata in modo opportuno e con isolatori adeguati, da una distanza dai 30 ai 50 cm. (E' possibile comunque vedere solo colori apparenti, perciò viene definito pseudo-intrinseco).
Apparente. E' il colore che vediamo. Varia in tinta, chiarezza e saturazione, a seconda della distanza dell'osservatore, dalle condizioni di illuminazione, dalla temperatura della luce, dal contrasto con lo sfondo, dal colore includente o accostato...etc.
Percepito. E' il colore soggettivo. 


Colore cromatico. Possiede una tinta; diverso dal nero, bianco e grigi neutri.
Colore acromatico. Non contiene tinte.
Colore attenuato. Non puro e non troppo prossimo al grigio.
Bianco, Nero cromatici. Che contengono un po' di tinta.
Bianco e nero Unici. Che non contengono tinta.
Grigi cromatici. Possiedono un po' di tinta, pur mantenendo la loro apparenza di grigio.


Riflettanza. Rapporto tra la quantità di luce incidente su una superficie e la quantità di luce emessa dalla superficie stessa. Dallo spettro di rilflettanza è possibile rilevare la lunghezza d'onda dominante che determina la sensazione cromatica.
Luminanza. Quantità di luce emessa da un oggetto illuminato. Dipende dall'intensità della luce che illumina la superficie.


lunedì 11 luglio 2011

Colorsperimentazione


Per chi non l'avesse già visto, consiglio di andare a guardare con attenzione il lavoro effettuato dagli studenti del Politecnico di Milano, Facoltà di Design, all'interno del corso di COLORSPERIMENTAZIONE tenuto da Mario Bisson e Cristina Boeri.
Basta digitare su You Tube "Il canale di colorsperimentazione" e potrete visionare dei video davvero stupendi. 
Sono convinta che per comprendere appieno il mondo del colore si debba anche sperimentare e ce lo insegnano maestri come Itten, Albers, Stern, Klee, Kandinsky (per citarne alcuni). 
Al di là della teoria, degli studi e della preparazione interdisciplinare di base che chiunque lavori col colore dovrebbe avere, sono certa che sia necessario "provare" con mezzi e strumenti diversi a mettersi in gioco, ricollocandosi in quella realtà di "laboratorio" che spesso si dimentica, perché in apparenza troppo distante dalla propria professione.
La storia insegna del resto che i grandi personaggi dell'architettura e del design sono stati sperimentatori (Le Corbusier...Munari...). Sarà la fretta del nostro tempo che impone l'assenza del laboratorio negli studi professionali? (E spesso nei corsi universitari...) O la burocrazia? O...la pigrizia?
"I sensi", lavoro di gruppo.  Corso "Colore: creatività ed espressione". (Polli Cristina tutor).

Mi permetto, se posso, di esternare la mia stima, a coloro che, al LAB. COLORE di Milano, Politecnico, sono stati così sensibili da capire che i giovani hanno bisogno di "sperimentare", provare, "mettere le mani" letteralmente "nel colore", per poterlo capire e vivere fino in fondo.
Così c'è anche divertimento nell'apprendere e nell'impegnarsi.




giovedì 7 luglio 2011

COS'E' LA PROSSEMICA

LA PROSSEMICA

Progettare il COLORE, significa anche conoscere come l'uomo si rapporta col proprio ambiente, con se stesso e con gli altri. (Vedi riquadro inerente al Wayfinding).
Per tale motivo oggi propongo dei cenni sulla Prossemica, disciplina secondo me indispensabile per comprendere spazi e comportamenti ai fini della realizzazione di un concept e di una sua restituzione progettuale. 


Prossemica: dall'inglese proxemics, termine coniato da E.T.Hall con l'elemento greco sema = segno
Studia l'uso che l'uomo fa dello spazio, frapponendo distanze fra sé e gli altri per avvicinarli o allontanarli nelle interazioni quotidiane e nelle strutturazioni degli spazi abitativi, o urbani. Distanze che variano da cultura a cultura, o da luogo a luogo all'interno della stessa cultura.

Secondo l’antropologo E. T. Hall per capire l’uomo e il suo rapporto relazionale con lo spazio, bisogna comprendere anche come funzionano i recettori percettivi.  I componenti dell’apparato sensoriale ci permettono infatti di esaminare lo spazio attorno e gli oggetti presenti, confrontandoli con il nostro corpo.

Hall distingue i recettori di DISTANZA, da quelli IMMEDIATI.
I primi, occhi-orecchi-naso, ci consentono di fare un esame di ciò che è distante;
i secondi, pelle-membrane-muscoli, ci informano sull’ambiente più prossimo.
Attraverso i nostri sensi possiamo individuare spazi dimensionali, termici, temporali.
Lo spazio, che viviamo come dinamico in quanto noi ci muoviamo dentro spazi, è sempre correlato all’uomo (avere la sensazione di spazio); uomo e ambiente interagiscono costantemente in modo determinante.





L’esperienza che noi abbiamo dello spazio è determinata da ciò che in quel dato spazio possiamo fare. Un ambiente molto alto, o una sala ampia, ci daranno un’esperienza di vissuto diversa da quella fornita da un ambiente basso, o da una sala piccola. In un luogo ove possiamo muoverci senza problemi, viviamo sensazioni e percezioni differenti dalle esperienze che proveremmo stando in spazi che ci obbligano nei movimenti. Ogni spazio, inoltre, lo sentiamo come “estensione dell’organismo”,  come “territorio”. 

Hall  indivudua quattro zone che determinano i nostri personali "territori", delimitati da specifiche distanze che noi frapponiamo tra il nostro corpo e gli altri, premettendo che esse possono mutare da cultura a cultura e a causa di  implicazioni  ambientali o personali.  

DISTANZA  INTIMA                          da cm.    0    a cm.     45

DISTANZA  PERSONALE                da cm.  45    a cm.   120

DISTANZA  SOCIALE                       da cm. 120   a cm.   360

DISTANZA  PUBBLICA                     da cm. 360   in avanti

La zona intima è una specie di seconda pelle che ci circonda e ci fa sentire sicuri. (Nelle lingue anglosassoni viene denominata bubble, che più o meno significa bolla).
Se facciamo entrare qualcuno in questa area è perché abbiamo realmente fiducia in lui.

La zona intima può variare in distanza a seconda dello status dell’interlocutore e dello stato d’animo dell’individuo. Tanto più una persona   è insicura, maggiormente può soffrire per l’intrusione di un’altra. Inoltre un individuo di cui si vìoli tale zona, si sente non rispettato come persona.

Nella zona personale si fanno entrare i buoni amici, i familiari, i colleghi con cui si è legati da rapporti anche di affetto e tutti coloro con i quali si ha una buona comunicazione.
Vi è comunque sempre una “difesa” che ogni individuo gestisce a modo proprio, creando una distanza più o meno evidente secondo i casi.
In situazioni di necessità, (file, ascensore, metrò, etc.), ci si avvicina forzatamente alla zona personale o a quella intima dell’altro; pertanto si utilizzano dei sistemi di comportamento difensivi evitando il contatto oculare, irrigidendosi, non parlando se non obbligati.

La zona sociale è riservata ai contatti di tipo superficiale; per esempio ai conoscenti, alla maggior parte dei colleghi di lavoro e ai propri capi.

Per  zona pubblica si intende quella distanza che va al di là della sfera personale. Non è necessariamente collegata ad un pubblico; può essere infatti intesa come distanza che separa persone che si conoscono e che stanno conversando da lontano, oppure che separa l’insegnante dai propri alunni. 



Il comportamento spaziale dell’uomo comprende, inoltre, altri fattori: l’orientazione, il comportamento territoriale e il movimento nell’ambiente fisico.
Per orientazione si intende l’angolazione secondo cui le persone si situano nello spazio, l’una rispetto all’altra (il luogo ove ci si siede attorno ad un tavolo o in un ambiente pubblico).
Le posizioni e i movimenti nello spazio dipendono dall’ambiente fisico: alcune aree, per esempio, acquistano significato di territorio (la scrivania dell’ufficio oltre la quale non può accedere chi non lavora in quel sito). Altre sono in rapporto con la posizione sociale: il palcoscenico, il posto d’onore.

Anche nella casa le forme e le dimensioni di una stanza possono condizionare la scelta della posizione nello spazio: a volte si è costretti a sedersi dove non aggrada, perché l’ambiente è ristretto e compresso e obbliga a tale posizione. Gli oggetti, gli arredi e gli spazi possono, cioè, essere vissuti come costrittivi.




venerdì 1 luglio 2011

Ideali a colori



Al liceo il mio professore di filosofia mi disse una frase che mi colpì parecchio e che mi è poi rimasta dentro, ritornando ad emergere dai ricordi rimbalzando nel presente come l'eco in una stanza vuota: "Lei è un'idealista, perciò, come tutti gli idealisti, soffrirà  molto nella vita!" 
E' vero, credo e combatto spesso contro i mulini a vento, ma mi piace essere in questo modo. Mi piace poter credere ancora nei valori base e che esista sempre una possibilità di recupero. Penso sia importante vivere con entusiasmo e crescere sbagliando, cadere per potersi rialzare, provare, cercare, porre attenzione, ascoltare, amare. Che la passione possa integrarsi con l'impegno e che il lavoro non debba essere solo una fonte di guadagno, ma un modo per evolversi e per migliorare la vita.
Forse è per questo che sono stanca di parole inutili, di polemiche continue e poco costruttive, di persone che invece di condividere il proprio sapere preferiscono diveinre saccenti e presuntuose, di altre che invece di collaborare attaccano e rifiutano, senza neppure sapere di cosa si tratta, un nuovo punto di vista...Di chiusure e "razzismi professionali".
Facciamo largo, per favore, a giovani curiosi e desiderosi di imparare (hanno tante idee e tanta capacità); a chi umilmente non si mette sempre in prima fila, ma che merita attenzione per il proprio egregio lavoro; a chi si butta, malgrado tutto; a chi ha davvero qualcosa da dire; a chi non dà importanza a ruoli e posizioni, ma si impegna costantemente; a chi è umano; a chi non vuole fili da burattino.
Tutto ciò potrebbe sembrare "poco professionale", men che meno scientifico. Ma io credo non ci possano essere bravi professionisti, se dietro non vi è un po' di cuore, se ci si dimentica che lavoriamo per le persone, per l'ambiente dove tali persone vivono e che il rispetto è la prima cosa a cui si dovrebbe pensare quando si progetta, o insegna.
Vale anche per il colore, questione non di sensibilità ma di cultura, che andrebbe analizzato e conosciuto in maniera trasversale, interdisciplinare, non a senso unico. La stessa formazione, la divulgazione della conoscenza relativa al tema colore, dovrebbe seguire tale strada.
Ho lanciato un input...se volete ditemi cosa ne pensate. A presto.





mercoledì 15 giugno 2011

A PROPOSITO DELLA LUNA...

Stasera, lo saprete, ci sarà un eclissi di luna. Allora, visto che la magia della luna da sempre mi avvince e soggioga quasi in una specie di delirio onirico di fantasie e sogni ad occhi aperti (la solita romantica) eccovi un avvincente spiegazione (scientifica e non fantasiosa) del perché la luna appare bianca nel cielo notturno.
Partiamo da più lontano. Esiste un fenomeno che si chiama COSTANZA DI CHIAREZZA. Cioè: la chiarezza di un oggetto tende a rimanere costante benché cambi l'intensità della luce che lo illumina e cambi, di conseguenza, l'intensità della luce che l'oggetto riflette. A dispetto di variazioni impressionanti nella quantità di luce proveniente da, per esempio, una cornacchia nera sotto il sole e dalla neve bianca illuminata da lampioni, noi vediamo sempre la cornacchia nera e la neve bianca. Andiamo oltre. Ci dice Paola Bressan ("Il colore della luna", Editori Laterza, pag. 85,86,87): "Supponiamo per esempio che una cornacchia svolazzi improvvisamente di fronte ai fari accesi della nostra auto mentre attraversiamo, di notte, una zona di campagna. Se non vi sono altri oggetti nel cono di luce e i fari illuminano soltanto la cornacchia, quest'ultima apparirà bianca. Questo fenomeno è stato dimostrato magistralmente da un esperimento, divenuto classico, condotto nel 1929 da Adhémar Gelb. In questo esperimento, un disco nero era sospeso in una stanza semibuia. Un faro nascosto alla vista dell'osservatore proiettava il suo fascio di luce sul disco, mentre il resto della stanza rimaneva in ombra. In queste condizioni, il disco appariva bianco (o perfino luminoso, se la luce del faro era sufficientemente intensa). Se però un piccolo pezzo di carta bianca veniva posto vicino al disco, all'interno del cono di luce, il disco diventava improvvisamente grigio. Quando il pezzo di carta veniva rimosso, il disco ritornava bianco, mostrando che la consapevolezza delle effettive condizioni di stimolazione non aveva alcun effetto su ciò che veniva visto. La LUNA nel cielo notturno appare bianca, o luminosa, esattamente per la stessa ragione per cui il disco dell'esperimento di Gelb appare bianco, o luminoso. Chiunque abbia visto le foto scattate dagli astronauti sulla luna, o campioni di suolo lunare in un museo della scienza, sa perfettamente che la luna non è affatto bianca, ma grigio scuro. L'esperimento di Gelb mostra che perfino un oggetto nero può apparire bianco quando rappresenta la più alta luminanza nel campo visivo. In casi come questo la costanza di chiarezza cessa di funzionare, ma ciò si verifica solo in condizioni molto speciali, quali la presenza di una fonte di luce nascosta (nel caso della luna, il sole) e l'assenza di altri oggetti nel fascio di luce." Non importa il reale colore di un oggetto, o meglio, la sensazione colore che percepiremmo in condizioni "normali"; il fenomeno della costanza di chiarezza è insito nella scena che osserviamo, nelle sue caratteristiche e non in ciò che "sappiamo" di essa.

Viviamo nell'apparenza; il colore non esiste...Però questa sera godiamoci la luna solo per ciò che è e lasciamoci andare alla bella sensazione di poter sognare ancora e di poter credere nelle favole.