venerdì 25 novembre 2016

SE NE VEDONO DI TUTTI I COLORI...



















"Da bambino Leiris ha visto un quadro che rappresentava le età della vita. Se i suoi ricordi sono esatti si trattava di una versione particolare, sul retro della rilegatura di un volume illustrato edito a Epinal: ogni età era associata a un colore – giallo, grigio, verde, blu... - e portava il titolo I colori della vita. In modo particolare si ricorda del colore mezzo-mezzo, un miscuglio di numerose tinte che evocano il caos della prima infanzia dove tutto è ancora indistinto, come in un tempo mitico, e del colore caldarrosta che si riconduceva a due vecchi ubriaconi rissosi. La lezione che trae da questo ricordo impreciso è ambigua: non senza humour, ammette che è già passato attraverso un certo numero di questi colori, compreso - ben prima dei quarant'anni – quello di caldarrosta. La lezione che Leiris sembra trarre da questo ricordo incerto è che nella vita se ne vedono di tutti i colori (...)"
(Marc Augé, "Il tempo senza età", Raffaello Cortina Ed., Mi, 2014, pag. 64)


In uno dei corsi ai quali partecipo in veste di docente, una collega che stava seguendo i seminari, ha raccontato l'ennesimo aneddoto sull’incomunicabilità del colore. Nel proporre il colore ideale per una parete della propria abitazione, la cliente suggeriva “un grigio elefante”, sottolineando l’importanza che fosse davvero color elefante e non un altro grigio.
Abbiamo riso, ma l’architetto che raccontava con l’espressione del viso che lasciava intendere: “In quel momento avrei voluto sprofondare” - ha esternato la profonda frustrazione, dovuta anche al fatto che comunque in qualche modo la cliente doveva essere accontentata. 











 
La strada che stabilisce un contatto (comunicare = mettere in comune) tra professionista e committente (privato come nel caso esposto) è lunga e non sempre in discesa. Occorrono tempo, spazio, ascolto, pazienza e il colore, in un certo qual senso, pretende si debba “informare” il cliente in modo corretto anche dal punto di vista linguistico. Una sorta di “educazione” senza presunzione, utile al fine di raggiungere il risultato desiderato.
Grigi topo, elefante o balena... potrebbero essere ricondotti ai vari grigi presenti nel sistema NCS, con campionature e notazioni precise (gestibili e comunicabili anche all’applicatore). 




 









NCS 2500-N




NCS 3500-N









 
NCS 5500-N


NCS 5502-N


 

E’ possibile spiegare, magari partendo dal funzionamento del sistema stesso, che i colori sono soprattutto “percepiti” dall’essere umano, per cui è difficile comprendere di quale colore si stia parlando, se si utilizzano solo delle categorizzazioni generiche. Si crea confusione e il messaggio tra referente e ricevente non arriva in modo chiaro. Per poter parlare “la stessa lingua” servono elementi uguali dai quali partire.
Forse sarà più complicato all’inizio, ma poi – dopo qualche spiegazione – sarà anche stimolante e divertente per il cliente entrare nel mondo della percezione cromatica.

Il “verde salvia” lasciamolo al maglioncino che abbiamo deciso di acquistare. Quando abbiamo a che fare con spazi, luoghi, progetti di qualsiasi tipo e complessità (micro e macro scenari, product design, vision identity..), cerchiamo il sostegno di sistemi, mezzi e strumenti capaci di comunicare e gestire la componente cromatica in modo corretto.






mercoledì 19 ottobre 2016

PASSEGGIANDO A MILANO TRA PASSATO E PRESENTE: UN DIALOGO A COLORI


Foto di Laura Caligiuri fotografa


Foto Laura Caligiuri
Spesso Milano veniva – e ancora viene – associata ad un'immagine di grigiore, attraverso una lettura del paesaggio che include un'architettura povera di colori, quasi monocromatica.
Sappiamo che tale suggestione non è reale, che esistono policromie e contrasti, individuabili nella materia, nella luce, nei particolari di un costruito con forte identità e memoria storica.

A partire dall'arte romana, fino ai primi decenni del Novecento l'utilizzo di pietre, legni, mattoni, affreschi, terre, intonaci, ha costituito un percorso evolutivo del colore iconico, sfociato poi in tempi più recenti nell'uso di nuovi materiali (dall'acciaio, al vetro…) e delle odierne tecnologie. L'impiego del colore nel costruito milanese, altalenando periodi di minore o maggiore saturazione, e/o differente gamma cromatica, ha raggiunto il suo apice nello schema policromatico del nostro secolo. Eppure, forse perché gli esempi esistenti sono estremamente puntuali e collocati (si pensi per fare qualche citazione possibile, alla Torre Arcobaleno in Porta Garibaldi, Studio Designers 6R5 Network, o alle residenze in via Doberdò dello studio Arkpabi, o ad FM Centro per l'Arte Contemporanea- Palazzo dei Frigoriferi Milanesi in via Piranesi di 5+1AA Studio…) non si crede che Milano offra colori brillanti o con palette cromatiche complesse.

Mi chiedo: quale percezione potrei avere io di una metropoli rinnovata e mutata, che congiunge preesistenze a monumentalità, sovrapponendo colori materici, storici, ai progetti cromatici del ventunesimo secolo? Quali a tutti gli effetti sono, nel 2016, i colori di Milano?

Decido quindi di intraprendere un viaggio alla ri-scoperta di una Milano che conosco e non-conosco, lasciandomi trasportare dalla curiosità, dai sensi, dal movimento del mio corpo che cammina e osserva, in una versione “esperienziale” che rispolvera nozioni acquisite, dalle visioni seriali di G. Cullen, all'ottica ecologica di J. Gibson.

In questa avventura mi faccio aiutare dalla mia amica Laura Caligiuri, fotografa professionista, per catturare con diversi punti di vista scenari e impressioni.

Insieme programmiamo un breve percorso e iniziamo da Piazza Gae Aulenti. 


Foto Laura Caligiuri




Foto Laura Caligiuri































Sono conscia del fatto che la “raccolta dati” visiva sarà soggettiva, ma obiettivo primario è vivere la città attraverso la percezione (del resto abitare un luogo è viverlo, percepirlo) e cercare di intuire quali siano i rapporti tra storia del luogo e identità cromatiche nuove, volute, differenziate; perciò mi lascio andare, rispettando il mio “sentire” lo spazio, incontrando verticalità, orizzontalità, dilatazioni e compressioni, punti focali, sfumature.


 Piazza Gae Aulenti si apre a noi in un fluttuare fermo di materiali, che in effetti, si adagiano su sfumature di grigi. Grigi acromatici, cromatici, verdastri, rosati, chiari, scuri, saturi o anche no, che rivendicano la loro natura nella pietra, nell'acciaio, nel vetro (colore materico).

Foto Laura Caligiuri















Qui comincia per poi protrarsi, l'utilizzo del riflesso, dello specchio. Anche l'acqua crea ridondanza di immagini. Si ha una sorta di trasmigrazione dalla materia al riflesso etereo. I colori di superficie si alternano e alterano con quelli volume. 


Foto Laura Caligiuri
















Pesi differenti che giocano con forme geometriche (spirale, cubo, tondo, quadrato…griglie...concavi e convessi...).

Foto Laura Caligiuri





















Si nota con grande facilità l'arredo dei negozi e dei bar dai toni accesi, rossi, gialli e l'arredo urbano (giallo verdastro per la fontana, rosso sicurezza!) che si staglia nello scenario, a sottolineare quanto sia importante recepire nella globalità di un progetto, cosa comporti la salienza

Foto Laura Caligiuri














Foto Laura Caligiuri


















Avanti, si prosegue...siamo in Piazza Alvar Aalto. Il grigio di nuovo si imprime nella mente, qui utilizzato per comporre facciate a scacchi, con qualche punta di verde azzurrato e vari rivestimenti, pavimentazioni, arredi urbani.

Foto Laura Caligiuri















Le dimensioni verticali costringono a guardare verso il cielo, ma lo sguardo - mi accorgo – cerca una via di fuga, che non trova realmente. Desidero andare oltre questa piazza che non mi sta regalando una sensazione di accoglienza. Che siano davvero i grigi, i colori della nuova Milano?




Foto Laura Caligiuri




















La promenade verso Piazza Lia Bo Bardi, riqualificazione di un quartiere degradato che, mi spiega Laura, viene ormai gestito e vissuto come sicuro, non mi infonde comunque una sensazione di benessere; mi sento schiacciare tra gli specchi altisonanti del palazzo della Samsung e le residenze marroni scuro (le ville nuove), malgrado il giardino e il verde naturale. Dovrei sentire l'uguale fascino che mi ha ispirato l'architettura moderna di Londra o Berlino? Forse il "nuovo" in questa city che si sta trasformando, ha ancora da integrarsi, per poter dare una sensazione di unità urbana. Ville marrone cupo? Nasce in me il desiderio di chiedere e comprenderne la scelta cromatica. Un colore, comunque, che crea volumi compatti, forti.

Foto Laura Caligiuri



















Foto C. Polli

















Eccoci in Piazza Lia Bo Bardi, tra la Diamond Tower e un lontano Hotel Principe di Savoia, tra spirito antico e nuovo. Basta percorrere via Joe Colombo per veder coronare il dialogo tra passato e presente (o futuro): il fronte dell'architettura squadrata e marrone scuro, scruta la città di ieri, fatta di palazzi con intonaci colorati. Due mondi, due musi enormi di animali che si guardano e chissà cosa si dicono.

Foto Laura Caligiuri
















Ritorniamo sui nostri passi. Riconsidero ogni scorcio e sono sopraffatta dai volumi, dalle altezze, dalle costruzioni ravvicinate. Penso a come si possa trasformare questo luogo di sera, con mille luci; sicuramente la percezione muterebbe, avvertirei altro. Per questa volta mi faccio bastare la luce diurna.

Dopo una sosta, ci spostiamo verso il quartiere Isola, passando di fronte al Bosco Verticale. L'interesse, sia mio che di Laura, si concentra in effetti su un particolare, ancora una volta rivolto al dialogo tra vecchio e nuovo: di fronte al Bosco Verticale di Boeri Studio, vi è una casa, di antica data, con una parete completamente rivestita di vite (verde naturale), che si specchia nelle vetrate al piano terra del Bosco Verticale. Gli edifici impersonali si rivitalizzano in questo gioco si scambio temporale, di immagini evocative che ritornano, si fondono con ciò che è stato aggiunto, inserito. Mi piace pensare che la vite verde sia tra i colori di una Milano nata colorata e vestita di un nuovo abito grigio.

Foto Laura Caligiuri

Foto Laura Caligiuri

Foto Laura Caligiuri

Foto Laura Caligiuri







































Chiaramente il quartiere Isola, con le sue preesistenze, ci offre fronti cromatici variati e alternati; il colore compare nei fondi delle facciate, nei particolari architettonici, in infissi e serramenti, nei bugnati e nelle zoccolature. L'identità storica si esprime e si racconta, con i suoi materiali, le sue strutture compositive, i suoi dettagli. Con arte di srada e segni lasciati come citazioni di nuove espressioni. Perché si è sempre pensato ad una città ingrigita? A causa di un Novecento e di un'architettura moderna povera di varianti cromatiche? C'è da riflettere. La nebbia? Meglio porsi domande e non avere risposte (per lo meno nell'iimmediato), in modo da poter analizzare, studiare, cercare, confrontarsi, aprirsi.

Foto Laura Caligiuri














Foto Laura Caligiuri

Foto Laura Caligiuri


Decidiamo che è ora di visitare un luogo dove la policromia del nuovo, predomina sull'esistente. Prendiamo la Metro (lLilla!) e ci immettiamo in Viale Maciachini, Viale Imbonati, per capire come l'architettura dello studio Sauerbruch-Hutton, si sia – o meno – inserita in questa parte di Milano. Il MAC 567 è un'enorme struttura con pannelli di tamponamento e sistema di frangisole aventi declinazioni cromatiche sui rossi, i verdi, i blu e i bianchi/grigi (35 gradazioni). Impossibile non notarla, con lo sviluppo dei suoi grandi parallelepipedi che si affacciano sulla via. Al di là di qualsiasi ragionamento sull'approccio metodologico e sulla scelta cromatica che ha spinto gli architetti a progettare le strutture così come le vediamo (non colgo aspetti percettivi o di analisi in tal senso), l'impatto non è disturbante, né irrispettoso verso il contesto in cui si trova. É una sorta di gigante buono, di mosaico forse divertente, comunque stimolante.

Foto C. Polli


















Foto C. Polli


















Foto Laura Caligiuri

Foto Laura Caligiuri

Foto Laura Caligiuri
Foto Laura Caligiuri

































Anche in questo caso il fronte preesistente colloquia con la nuova immagine della città, ma vi è una sorta di collante, il colore, che si manifesta attraverso linguaggi differenti, stupendo, magari, ma senza opprimere.


Il MAC, a tutti gli effetti, risulta essere un punto focale, ben visibile e riconoscibile (come ogni punto focale dovrebbe essere); un'attrattiva che passa attraverso il colore, più che la forma, la struttura, la volumetria.


Decidiamo di terminare per oggi quetso primo approccio da "turiste" e, visto il caldo, non ci rimane che una visita ai navigli (coi palazzi dagli intonaci variamente colorati e i riflessi nell'acqua del fiume) e ad una buona gelateria.

Foto Laura Caligiuri



Foto Laura Caligiuri





























Nella passeggiata spazio-temporale di oggi mi sono affidata ad un personale punto di vista, al mio modo di percepire la realtà attorno, ai sensi che mi hanno trasportata e guidata. Per cui, di conseguenza, la lettura è sicuramente poco obiettiva; ma la città è fatta proprio di individui che vivono e “utilizzano” i luoghi, percependoli in prima persona.
Credo l'architettura non possa e non debba assurgere a museo; essa diventa reale nel momento in cui viene ideata/progettata a misura d'uomo, ponendosi al suo servizio, rispondendo ad esigenze concrete, a bisogni insiti nel nostro essere umani.
La sensazione che la città dovrebbe dare ai propri abitanti e ai visitatori, è di cura, sicurezza, accoglienza, fruibilità, orientamento facilitato, comunicazione chiara, rispetto (per l'individuo, per l'ambiente, per gli animali). Il racconto che vorrei mi donasse lo spazio urbano, nella convivenza tra passato e presente (tutela e apertura alll'esterno), è un racconto di passaggi identitari, temporali, che mi facciano sentire “dentro” la città, parte di essa e non estranea, estraniata, spaesata. Cerco la fascinazione dei luoghi.

Foto Laura Caligiuri - "Cuore" di Gregorio Mancino, porta sui Navigli

Il colore, nell'architettura, nell'arredo urbano, nel paesaggio, aiuta in tutto ciò, poiché è sempre un segnale, continua a fornire informazioni basilari, suggerisce comportamenti, aiuta nella memorizzazione di una scena, di una mappa mentale. Incide fortemente su ogni ambito della città, diviene driver, rappresenta un importante elemento di riconoscibilità/leggibilità degli spazi. Il suo impiego permette -con obiettivi diversi- di rispettare e tutelare identita' preesistenti, di crearne nuove, di riqualificare percettivamente, di esplicitare funzioni e significati, di informare e comunicare, di trasformare provocando anche emozioni, stupori.
E tutto nasce -comunque- dall'attenzione per un territorio, dalla sua viva osservazione. 
 
C'è coerenza tra l'ambiente urbano e i livelli di percezione? Quali sono le relazioni tra architettura, contesto e colore? E' la persona che percepisce lo spazio...è rispettato l'equilibrio percettivo in questo spazio urbano? Le trasformazioni, anche cromatiche, sono state concordate con la cittadinanza? C'è una progettazione partecipata? C'è coerenza?
Quali siano i colori di Milano non mi è chiaro (evoluzione storica a parte), ma penso ci sia ancora molto su cui lavorare in quest'ambito e sul quale riflettere...vetri e diamanti a parte.

Foto Laura Caligiuri