venerdì 30 settembre 2011

A proposito di comunicazione...

Lo so, capita spesso, troppo spesso, di non capirsi. Di non riuscire a comunicare. La parentesi sulla "comunicazione" sarebbe davvero estesa, perciò mi limito a rimanere nell'ambito colore. 


Foto arch. Giacomo Rizzi


Utopia potrebbe significare desiderare, in un mondo perfetto, progetti grafici d'architettura o design, di massima o fase concept,  riportanti le indicazioni dei colori scelti, mediante precisi codici di riferimento e non con terminologie tanto simpatiche  quanto di  dubbia interpretazione, tipo: parete "giallo chiaro", "ocra", serramento "grigio RAL", fondo "rosso mattone", infisso "color legno chiaro"...e chi ha più fantasia continui pure!
C'è da chiedersi cosa si intenda per "giallo chiaro" vista la gamma estesa di gialli, o quale possa essere il grigio RAL se non vi è il codice numerico. Eppure, nel nostro mondo, ci si esprime ancora così. Forse perchè si pensa che il colore sia poco importante? O perchè lo si relega nella sfera decorativa (e quindi non essenziale ai fini della spiegazione di un progetto)? O perchè costa sforzo informarsi, aggiornarsi, collaborare magari con chi si occupa nella fattispecie di progetto cromatico? 
Purtroppo la stessa incomprensione, che da adito a problemi gestionali e a volte a fraintendimenti che sfociano in errori pratici, esiste anche in "cantiere". L'applicatore non sempre ha voglia di confrontarsi col progettista, oppure lo vorrebbe ma mancano i disegni grafici riportanti i codici colore e le allogazioni. Nessuno ha colpa...; però, sempre nel mondo perfetto di prima, dove tutti usano i codici (faccio un esempio: utilizzo del sistema NCS) per scambiarsi le informazioni necessarie alla buona riuscita del progetto e si svolgono adeguate verifiche, collaborazioni verbali e responsabili da ambo le parti, si evitano situazioni paradossali.  Non capita di sentire il professionista che con aria truce apostrofa il decoratore con la frase tipo: "Ma come! Il bianco sulla parete non è quello di cui avevamo parlato"...
Quale bianco? Ve ne sono troppi per non doverli citare attraverso codici di riferimento concreti, scientifici e che permettono di mettere tutti d'accordo. Abbiamo bisogno di un aiuto in tal senso per uscire dalle parole che nulla dicono e spiegano. 
















Tutti sappiamo, per esempio, riconoscere il simbolo della figura qui sopra riportata. Se la nostra percezione ce lo permette sappiamo anche riconoscere le tinte dello sfondo e della figura; ma se volessimo riproporle in un progetto e comunicarle ad un applicatore, o al committente, o ad un ente, o ad un'azienda...senza dei codici come potremmo pretendere di vederli riprodurre fedelmente?

martedì 20 settembre 2011

CONFERENZA del COLORE

VII° Conferenza Nazionale del Colore
15-16 Settembre 2011 – Sapienza Università di Roma



Nell'atmosfera antica di una città che sempre regala emozioni, il convegno si è svolto con una carrellata di interventi dalle manifeste eterogenee sfaccettature. Credo lo spirito giusto per approcciarsi ad eventi culturali di tale definizione, sia quello di cogliere il più possibile nuovi spunti per ridisegnare il proprio punto di vista (rimettendosi quindi in discussione sulla propria metodologia o sui presupposti teorici del progetto... ) e per aggiornarsi sulle ricerche e gli approfondimenti effettuati negli ultimi anni.
Sono convinta per un professionista sia fondamentale riflettere su quanto accade nel territorio vasto della ricerca e comprendere altre linee di pensiero, al fine di instaurare una sinergia collaborativa col mondo “fuori” senza indulgere nell'arida pretesa di essere nel giusto “sempre” e “a prescindere”.

Per citare, tra i molti, qualche validissimo esempio-spunto di riflessione, vorrei ricordare gli interventi di: Mariacristina Giambruno e Rossana Gabaglio (Politecnico di Milano) , “Colore e architettura esistente. Riflessioni tra conservazione e progetto” (nel quale si sottolinea come il dibattito sul colore del costruito nei centri storici sia sempre attuale, che occorre una re-definizione di “piano” in “progetto” e che “il colore può rappresentare un volano per la riqualificazione urbana”); Salvatore Zingale, Cristina Boeri, Marilisa Pastore, (Dip. INDACO Politecnico di Milano) “Colore e wayfinding: una sperimentazione all'Ospedale San Paolo di Milano” (“ricerca sperimentale tesa ad indagare le possibilità di generare orientamento attraverso il progetto colore negli spazi interni”); Lia Luzzatto, “Il colore globalizzato”, (analisi del colore nella comunicazione globalizzata).


Non starò comunque a riassumere le numerose tematiche trattate alla conferenza. Chi volesse leggere gli atti può rivolgersi a “Maggioli Editore” e acquistare il testo relativo (vedi immagine riportata).


martedì 6 settembre 2011

CURIOSITA'

Qualche notizia...

L'essere umano percepisce la parte dello spettro elettromagnetico compresa tra i 380 e i 760 nanometri circa.
Per il restante “spazio” siamo creature cieche.
Ciò è dovuto al fatto che i primi occhi si sono evoluti in animali (nostri antenati) che vivevano in acque melmose. Le radiazioni dell'intervallo che noi percepiamo sono le sole capaci di penetrare nell'acqua. L'evoluzione dei meccanismi biochimici si fonda su tale visione di base.
Sono trascorsi 5 miliardi di anni abbiamo subito un'evoluzione che ci ha portato a vivere stabilmente sulla terra ferma, ma i nostri occhi rimangono sensibili a quella porzione di spettro.












Durante il giorno percepiamo la realtà esterna attraverso una serie di cellule presenti nell'occhio e nel cervello. I CONI, cellule fotosensibili nella retina, trasformano la luce in segnale elettrico. Il cervello lo rielabora e interpreta come visione. (Visione fotopica)
Nella retina sono presenti 3 tipi di CONI che rispondono in modo diverso alle lunghezze d'onda della luce e inviano alle cellule tre segnali distinti, durante il percorso visivo. L'occhio e il cervello, analizzando questi tre segnali, attribuiscono diverse sensazioni alle lunghezze d'onda. Tali sensazioni vengono comunemente chiamate COLORI.
Nella notte i coni non vengono stimolati (luce presente insufficiente). Si attivano quindi altre cellule fotosensibili presenti nella retina, i BASTONCELLI, aventi sensibilità alla luce molto superiore ai coni. (Visione scotopica).
Di giorno sappiamo distinguere i colori. Di notte solo i livelli di luminosità, dal chiaro allo scuro.










CURIOSITA' in Bianco e Nero
Prime grotte con segni grafici NERI a Lascaux 15.000 a. C.  (Il Grande Toro)
La prima volta che il colore appare come caratterizzazione  e distinzione sociale attraverso l'abito, è nel XII secolo, con l'uso del NERO cluniacense (Cluny) dell'umiltà e rinuncia, contro il BIANCO cistercense (Citeaux) dell'innocenza e virtù. I monaci si identificano col colore del prorpio abito.
Tutti i vecchi sistemi di colore si trasformano con l'avvento dei primi stemmi, verso la metà del XII secolo. (Araldica).
Nel XVII secolo l'arcobaleno attira l'attenzione dei più grandi scienziati (Galileo, Keplero, Cartesio, Huyghens) e anche di teologi.
Isaac Newton (1642-1727) scopre lo spettro nel 1665/66, ma le sue teorie vengono rese pubbliche solo nel 1704 con la Summa sull'Ottica.
Attraverso gli studi fisici sulla luce Newton elimina Nero e Bianco dallo spettro. Da quel momento Nero e Bianco vennero considerati NON colori.

Ormai tale distinzione non esiste più e Bianco e Nero vengono considerati COLORI a tutti gli effetti.


martedì 26 luglio 2011

A..."PAGINA 20"

PAGINA 20, forse perché proprio su quella pagina ho scritto la cosa più importante, da ricordare, da andare a rileggere...ogni tanto...

Esprimere con le sole parole ciò che si sente, non sempre si può. Il corpo ABITA sensazioni, percezioni, emozioni, sentimenti, pensieri.
Nel testo compare, in modo trasversale, la metafora dello spazio abitato, del corpo abitato. L'ambiente chiuso, l'ambiente aperto e il tema del costruire, divengono basi ed intrecci del racconto.

PAGINA 20 è in realtà un libro "aperto", che il lettore può usare e progettare come interfaccia, note-book, diario, strumento di condivisione, di vissuto, dinterazione. Un libro da leggere, da ri-scrivere, da pasticciare e colorare, da regalare.

Una sorta di scatola che contine altre scatole, come una casa che contiene tante stanze...

I libri si possono leggere, scrivere, disegnare e sognare...


"Pagina 20", di Cristina Polli ed Elena Giunta, La memoria del mondo libreria edtrice.







domenica 17 luglio 2011

Colore: attributi, caratteristiche.

 Un po' di cenni basic.


 

TINTA (hue). E' la caratteristica di un colore riconducibile alla sua denominazione, che conosciamo come rosso, giallo, verde, etc.
CHIAREZZA (lightness). Concettualmente ogni colore se aumentato molto in chiarezza tende ad un bianco acromatico e se diminuito in chiarezza, cioè se scurito, tende ad un nero acromatico.
SATURAZIONE (saturation). Quanto vivace ci appare un colore? Se molto attenuato o desaturato, esso tende ad un grigio acromatico.
(Le definizioni precise derivanti dalla Colorimetria, si possono trovare nei testi di Claudio Oleari)

Colore intrinseco. Colore la cui identificazione avviene mediante strumenti di rilievo colorimetrico.
Pseudo-intrinseco
. Colore di una data superficie osservata in modo opportuno e con isolatori adeguati, da una distanza dai 30 ai 50 cm. (E' possibile comunque vedere solo colori apparenti, perciò viene definito pseudo-intrinseco).
Apparente. E' il colore che vediamo. Varia in tinta, chiarezza e saturazione, a seconda della distanza dell'osservatore, dalle condizioni di illuminazione, dalla temperatura della luce, dal contrasto con lo sfondo, dal colore includente o accostato...etc.
Percepito. E' il colore soggettivo. 


Colore cromatico. Possiede una tinta; diverso dal nero, bianco e grigi neutri.
Colore acromatico. Non contiene tinte.
Colore attenuato. Non puro e non troppo prossimo al grigio.
Bianco, Nero cromatici. Che contengono un po' di tinta.
Bianco e nero Unici. Che non contengono tinta.
Grigi cromatici. Possiedono un po' di tinta, pur mantenendo la loro apparenza di grigio.


Riflettanza. Rapporto tra la quantità di luce incidente su una superficie e la quantità di luce emessa dalla superficie stessa. Dallo spettro di rilflettanza è possibile rilevare la lunghezza d'onda dominante che determina la sensazione cromatica.
Luminanza. Quantità di luce emessa da un oggetto illuminato. Dipende dall'intensità della luce che illumina la superficie.


lunedì 11 luglio 2011

Colorsperimentazione


Per chi non l'avesse già visto, consiglio di andare a guardare con attenzione il lavoro effettuato dagli studenti del Politecnico di Milano, Facoltà di Design, all'interno del corso di COLORSPERIMENTAZIONE tenuto da Mario Bisson e Cristina Boeri.
Basta digitare su You Tube "Il canale di colorsperimentazione" e potrete visionare dei video davvero stupendi. 
Sono convinta che per comprendere appieno il mondo del colore si debba anche sperimentare e ce lo insegnano maestri come Itten, Albers, Stern, Klee, Kandinsky (per citarne alcuni). 
Al di là della teoria, degli studi e della preparazione interdisciplinare di base che chiunque lavori col colore dovrebbe avere, sono certa che sia necessario "provare" con mezzi e strumenti diversi a mettersi in gioco, ricollocandosi in quella realtà di "laboratorio" che spesso si dimentica, perché in apparenza troppo distante dalla propria professione.
La storia insegna del resto che i grandi personaggi dell'architettura e del design sono stati sperimentatori (Le Corbusier...Munari...). Sarà la fretta del nostro tempo che impone l'assenza del laboratorio negli studi professionali? (E spesso nei corsi universitari...) O la burocrazia? O...la pigrizia?
"I sensi", lavoro di gruppo.  Corso "Colore: creatività ed espressione". (Polli Cristina tutor).

Mi permetto, se posso, di esternare la mia stima, a coloro che, al LAB. COLORE di Milano, Politecnico, sono stati così sensibili da capire che i giovani hanno bisogno di "sperimentare", provare, "mettere le mani" letteralmente "nel colore", per poterlo capire e vivere fino in fondo.
Così c'è anche divertimento nell'apprendere e nell'impegnarsi.




giovedì 7 luglio 2011

COS'E' LA PROSSEMICA

LA PROSSEMICA

Progettare il COLORE, significa anche conoscere come l'uomo si rapporta col proprio ambiente, con se stesso e con gli altri. (Vedi riquadro inerente al Wayfinding).
Per tale motivo oggi propongo dei cenni sulla Prossemica, disciplina secondo me indispensabile per comprendere spazi e comportamenti ai fini della realizzazione di un concept e di una sua restituzione progettuale. 


Prossemica: dall'inglese proxemics, termine coniato da E.T.Hall con l'elemento greco sema = segno
Studia l'uso che l'uomo fa dello spazio, frapponendo distanze fra sé e gli altri per avvicinarli o allontanarli nelle interazioni quotidiane e nelle strutturazioni degli spazi abitativi, o urbani. Distanze che variano da cultura a cultura, o da luogo a luogo all'interno della stessa cultura.

Secondo l’antropologo E. T. Hall per capire l’uomo e il suo rapporto relazionale con lo spazio, bisogna comprendere anche come funzionano i recettori percettivi.  I componenti dell’apparato sensoriale ci permettono infatti di esaminare lo spazio attorno e gli oggetti presenti, confrontandoli con il nostro corpo.

Hall distingue i recettori di DISTANZA, da quelli IMMEDIATI.
I primi, occhi-orecchi-naso, ci consentono di fare un esame di ciò che è distante;
i secondi, pelle-membrane-muscoli, ci informano sull’ambiente più prossimo.
Attraverso i nostri sensi possiamo individuare spazi dimensionali, termici, temporali.
Lo spazio, che viviamo come dinamico in quanto noi ci muoviamo dentro spazi, è sempre correlato all’uomo (avere la sensazione di spazio); uomo e ambiente interagiscono costantemente in modo determinante.





L’esperienza che noi abbiamo dello spazio è determinata da ciò che in quel dato spazio possiamo fare. Un ambiente molto alto, o una sala ampia, ci daranno un’esperienza di vissuto diversa da quella fornita da un ambiente basso, o da una sala piccola. In un luogo ove possiamo muoverci senza problemi, viviamo sensazioni e percezioni differenti dalle esperienze che proveremmo stando in spazi che ci obbligano nei movimenti. Ogni spazio, inoltre, lo sentiamo come “estensione dell’organismo”,  come “territorio”. 

Hall  indivudua quattro zone che determinano i nostri personali "territori", delimitati da specifiche distanze che noi frapponiamo tra il nostro corpo e gli altri, premettendo che esse possono mutare da cultura a cultura e a causa di  implicazioni  ambientali o personali.  

DISTANZA  INTIMA                          da cm.    0    a cm.     45

DISTANZA  PERSONALE                da cm.  45    a cm.   120

DISTANZA  SOCIALE                       da cm. 120   a cm.   360

DISTANZA  PUBBLICA                     da cm. 360   in avanti

La zona intima è una specie di seconda pelle che ci circonda e ci fa sentire sicuri. (Nelle lingue anglosassoni viene denominata bubble, che più o meno significa bolla).
Se facciamo entrare qualcuno in questa area è perché abbiamo realmente fiducia in lui.

La zona intima può variare in distanza a seconda dello status dell’interlocutore e dello stato d’animo dell’individuo. Tanto più una persona   è insicura, maggiormente può soffrire per l’intrusione di un’altra. Inoltre un individuo di cui si vìoli tale zona, si sente non rispettato come persona.

Nella zona personale si fanno entrare i buoni amici, i familiari, i colleghi con cui si è legati da rapporti anche di affetto e tutti coloro con i quali si ha una buona comunicazione.
Vi è comunque sempre una “difesa” che ogni individuo gestisce a modo proprio, creando una distanza più o meno evidente secondo i casi.
In situazioni di necessità, (file, ascensore, metrò, etc.), ci si avvicina forzatamente alla zona personale o a quella intima dell’altro; pertanto si utilizzano dei sistemi di comportamento difensivi evitando il contatto oculare, irrigidendosi, non parlando se non obbligati.

La zona sociale è riservata ai contatti di tipo superficiale; per esempio ai conoscenti, alla maggior parte dei colleghi di lavoro e ai propri capi.

Per  zona pubblica si intende quella distanza che va al di là della sfera personale. Non è necessariamente collegata ad un pubblico; può essere infatti intesa come distanza che separa persone che si conoscono e che stanno conversando da lontano, oppure che separa l’insegnante dai propri alunni. 



Il comportamento spaziale dell’uomo comprende, inoltre, altri fattori: l’orientazione, il comportamento territoriale e il movimento nell’ambiente fisico.
Per orientazione si intende l’angolazione secondo cui le persone si situano nello spazio, l’una rispetto all’altra (il luogo ove ci si siede attorno ad un tavolo o in un ambiente pubblico).
Le posizioni e i movimenti nello spazio dipendono dall’ambiente fisico: alcune aree, per esempio, acquistano significato di territorio (la scrivania dell’ufficio oltre la quale non può accedere chi non lavora in quel sito). Altre sono in rapporto con la posizione sociale: il palcoscenico, il posto d’onore.

Anche nella casa le forme e le dimensioni di una stanza possono condizionare la scelta della posizione nello spazio: a volte si è costretti a sedersi dove non aggrada, perché l’ambiente è ristretto e compresso e obbliga a tale posizione. Gli oggetti, gli arredi e gli spazi possono, cioè, essere vissuti come costrittivi.