Foto di Laura Caligiuri fotografa
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Foto Laura Caligiuri |
Spesso
Milano veniva – e ancora viene – associata ad un'immagine di
grigiore, attraverso una lettura del paesaggio che include
un'architettura povera di colori, quasi monocromatica.
Sappiamo
che tale suggestione non è reale, che esistono policromie e
contrasti, individuabili nella materia, nella luce, nei particolari
di un costruito con forte identità e memoria storica.
A
partire dall'arte romana, fino ai primi decenni del Novecento
l'utilizzo di pietre, legni, mattoni, affreschi, terre, intonaci, ha
costituito un percorso evolutivo del colore iconico, sfociato poi in
tempi più recenti nell'uso di nuovi materiali (dall'acciaio, al
vetro…) e delle odierne tecnologie. L'impiego del colore nel
costruito milanese, altalenando periodi di minore o maggiore
saturazione, e/o differente gamma cromatica, ha raggiunto il suo
apice nello schema policromatico del nostro secolo. Eppure, forse
perché gli esempi esistenti sono estremamente
puntuali e collocati (si pensi per fare qualche citazione possibile,
alla Torre Arcobaleno in
Porta Garibaldi, Studio Designers
6R5 Network, o alle residenze in via Doberdò dello studio Arkpabi, o
ad FM Centro per l'Arte
Contemporanea- Palazzo dei
Frigoriferi Milanesi in
via Piranesi di 5+1AA Studio…) non si crede che Milano offra colori
brillanti
o con palette cromatiche complesse.
Mi
chiedo: quale percezione potrei avere io di una metropoli rinnovata e
mutata, che congiunge preesistenze a monumentalità, sovrapponendo
colori materici, storici, ai progetti cromatici del ventunesimo
secolo? Quali a tutti gli effetti
sono, nel 2016, i colori di Milano?
Decido
quindi di intraprendere un viaggio alla ri-scoperta di una Milano che
conosco e non-conosco, lasciandomi trasportare dalla curiosità, dai
sensi, dal movimento del mio corpo che cammina e osserva, in una
versione “esperienziale” che rispolvera nozioni acquisite, dalle
visioni seriali di G. Cullen, all'ottica ecologica di
J. Gibson.
In questa avventura mi faccio aiutare dalla mia amica
Laura Caligiuri, fotografa professionista, per catturare con diversi
punti di vista scenari e impressioni.
Insieme
programmiamo un breve percorso
e iniziamo da
Piazza Gae Aulenti.
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
Sono
conscia del fatto che la “raccolta dati” visiva sarà soggettiva,
ma obiettivo primario è vivere la città attraverso la percezione
(del resto abitare un luogo è viverlo, percepirlo)
e cercare di intuire quali
siano i rapporti tra storia del luogo e identità cromatiche
nuove, volute,
differenziate; perciò mi lascio andare, rispettando
il mio “sentire”
lo spazio, incontrando
verticalità, orizzontalità, dilatazioni e compressioni, punti
focali, sfumature.
Piazza
Gae Aulenti si apre a noi in un fluttuare fermo di materiali, che in
effetti, si adagiano su sfumature di grigi. Grigi acromatici,
cromatici, verdastri, rosati,
chiari, scuri, saturi o
anche no, che rivendicano la loro natura nella pietra, nell'acciaio,
nel vetro (colore
materico).
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Foto Laura Caligiuri |
Qui
comincia per poi protrarsi, l'utilizzo del riflesso, dello specchio.
Anche l'acqua crea ridondanza di immagini. Si ha una sorta di
trasmigrazione dalla materia al riflesso etereo. I colori di
superficie si alternano
e alterano con quelli volume.
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Foto Laura Caligiuri |
Pesi
differenti che giocano con forme geometriche (spirale, cubo, tondo,
quadrato…griglie...concavi
e convessi...).
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Foto Laura Caligiuri |
Si nota con grande facilità l'arredo dei negozi e dei bar dai toni
accesi, rossi, gialli e l'arredo urbano (giallo
verdastro per la fontana, rosso
sicurezza!) che si staglia nello scenario, a sottolineare quanto sia
importante recepire nella
globalità di un progetto, cosa
comporti la salienza!
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
Avanti,
si prosegue...siamo in Piazza Alvar Aalto. Il grigio di
nuovo si imprime nella mente, qui
utilizzato
per comporre facciate a scacchi, con qualche punta di verde azzurrato
e
vari
rivestimenti,
pavimentazioni, arredi
urbani.
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Foto Laura Caligiuri |
Le
dimensioni verticali costringono a guardare verso il cielo, ma lo
sguardo - mi accorgo – cerca una via di fuga, che non trova
realmente. Desidero andare oltre questa piazza che non mi sta
regalando una sensazione di accoglienza. Che siano davvero i grigi, i colori della nuova Milano?
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Foto Laura Caligiuri |
La
promenade
verso Piazza Lia Bo Bardi, riqualificazione di un quartiere degradato
che, mi spiega Laura, viene ormai gestito e vissuto come sicuro, non
mi infonde comunque una sensazione di benessere; mi sento schiacciare
tra gli specchi altisonanti del palazzo della Samsung e le residenze
marroni scuro (le
ville nuove),
malgrado il giardino e il verde naturale. Dovrei sentire l'uguale fascino che mi ha ispirato l'architettura moderna di Londra o Berlino? Forse il "nuovo" in questa city che si sta trasformando, ha ancora da integrarsi, per poter dare una sensazione di unità urbana. Ville marrone cupo? Nasce in me il desiderio di chiedere e comprenderne la scelta cromatica. Un colore, comunque, che crea volumi compatti, forti.
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto C. Polli |
Eccoci
in Piazza Lia Bo Bardi, tra la Diamond Tower e un lontano Hotel
Principe di Savoia, tra spirito antico e nuovo.
Basta
percorrere via
Joe Colombo per
veder coronare
il dialogo tra passato e presente (o futuro): il
fronte dell'architettura squadrata e marrone scuro, scruta la città
di ieri, fatta di palazzi con
intonaci colorati.
Due mondi, due musi enormi di animali che si guardano e chissà cosa
si dicono.
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Foto Laura Caligiuri |
Ritorniamo
sui nostri passi. Riconsidero
ogni scorcio e sono sopraffatta dai volumi, dalle altezze, dalle
costruzioni ravvicinate. Penso a come si possa trasformare questo
luogo di sera, con mille luci; sicuramente la percezione muterebbe,
avvertirei altro. Per questa volta mi faccio bastare la luce diurna.
Dopo
una sosta, ci spostiamo verso il quartiere Isola, passando di fronte
al Bosco Verticale. L'interesse, sia mio che di Laura, si concentra
in
effetti su
un particolare, ancora una volta rivolto al dialogo tra vecchio e
nuovo: di fronte al Bosco Verticale
di
Boeri Studio,
vi è una casa, di antica data, con una parete completamente
rivestita di vite (verde naturale), che si specchia nelle
vetrate al piano terra del Bosco Verticale.
Gli edifici impersonali si rivitalizzano in questo gioco si scambio
temporale, di immagini evocative che ritornano, si fondono con ciò
che è stato aggiunto, inserito. Mi piace pensare che la vite verde
sia tra i colori di una Milano nata colorata e vestita di un nuovo
abito grigio.
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
Chiaramente
il quartiere Isola, con le sue preesistenze, ci offre fronti
cromatici variati e alternati; il colore compare nei fondi delle
facciate, nei particolari architettonici, in infissi e serramenti,
nei
bugnati e nelle zoccolature. L'identità
storica si esprime e si racconta, con i suoi materiali, le sue
strutture compositive, i suoi dettagli. Con
arte di srada e segni lasciati come citazioni di nuove espressioni.
Perché
si è sempre pensato ad una città ingrigita? A
causa di un Novecento e di un'architettura moderna povera di varianti
cromatiche? C'è da riflettere. La
nebbia?
Meglio porsi domande e non avere risposte (per lo meno
nell'iimmediato), in modo da poter analizzare, studiare, cercare,
confrontarsi, aprirsi.
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
Decidiamo
che è ora di visitare un luogo dove la policromia del nuovo,
predomina sull'esistente. Prendiamo la Metro (lLilla!) e ci
immettiamo in Viale Maciachini, Viale Imbonati, per capire come
l'architettura dello studio Sauerbruch-Hutton, si sia – o meno –
inserita in questa parte di Milano. Il MAC 567 è un'enorme
struttura con pannelli di tamponamento e sistema di frangisole
aventi declinazioni cromatiche sui rossi, i verdi, i blu e i
bianchi/grigi (35 gradazioni). Impossibile non notarla, con lo
sviluppo dei suoi grandi parallelepipedi che si affacciano sulla via.
Al di là di qualsiasi ragionamento sull'approccio metodologico e
sulla scelta cromatica che ha spinto gli architetti a progettare le
strutture così come le vediamo (non colgo aspetti percettivi o di
analisi in tal senso), l'impatto non è disturbante, né irrispettoso
verso il contesto in cui si trova. É una sorta di gigante buono, di
mosaico forse divertente, comunque stimolante.
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Foto C. Polli |
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Foto C. Polli |
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
Anche
in questo caso il fronte preesistente colloquia con la nuova immagine
della città, ma vi è una sorta di collante, il colore, che si
manifesta attraverso linguaggi differenti, stupendo, magari, ma senza
opprimere.
Il MAC, a tutti gli effetti, risulta essere un punto focale, ben visibile e riconoscibile (come ogni punto focale dovrebbe essere); un'attrattiva che passa attraverso il colore, più che la forma, la struttura, la volumetria.
Decidiamo
di terminare per oggi quetso primo approccio da "turiste" e, visto il caldo, non ci rimane che una visita
ai navigli (coi palazzi dagli intonaci variamente colorati e i
riflessi nell'acqua del fiume) e ad una buona gelateria.
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Foto Laura Caligiuri |
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Foto Laura Caligiuri |
Nella
passeggiata
spazio-temporale
di oggi mi sono affidata ad un personale punto di vista, al mio modo
di percepire la realtà attorno, ai sensi che mi hanno trasportata e
guidata. Per cui, di conseguenza, la lettura è sicuramente poco
obiettiva; ma
la città è fatta proprio di individui
che
vivono e “utilizzano”
i luoghi, percependoli
in prima persona.
Credo
l'architettura
non
possa
e non debba
assurgere a museo;
essa
diventa
reale
nel
momento in cui viene
ideata/progettata
a misura d'uomo,
ponendosi
al suo servizio, rispondendo ad esigenze concrete, a bisogni insiti
nel nostro essere umani.
La
sensazione che la città
dovrebbe dare ai propri
abitanti e ai visitatori, è di cura,
sicurezza, accoglienza,
fruibilità, orientamento
facilitato, comunicazione chiara, rispetto
(per l'individuo, per l'ambiente, per gli animali). Il
racconto che vorrei mi donasse lo spazio urbano, nella convivenza tra
passato e presente (tutela e apertura alll'esterno), è un racconto
di passaggi identitari, temporali, che
mi facciano sentire “dentro” la città, parte di essa e non
estranea, estraniata, spaesata. Cerco
la fascinazione dei luoghi.
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Foto Laura Caligiuri - "Cuore" di Gregorio Mancino, porta sui Navigli |
Il
colore, nell'architettura, nell'arredo urbano, nel paesaggio, aiuta
in tutto ciò, poiché è
sempre un segnale, continua a fornire informazioni basilari,
suggerisce comportamenti, aiuta nella memorizzazione di una scena, di
una mappa mentale. Incide
fortemente su ogni ambito della città,
diviene driver,
rappresenta
un importante elemento di riconoscibilità/leggibilità degli spazi.
Il
suo impiego permette -con
obiettivi diversi- di
rispettare
e
tutelare identita'
preesistenti,
di crearne nuove, di riqualificare
percettivamente, di
esplicitare
funzioni e significati, di
informare
e
comunicare, di
trasformare
provocando
anche emozioni, stupori.
E
tutto nasce -comunque- dall'attenzione per un territorio, dalla sua
viva osservazione.
C'è
coerenza tra l'ambiente urbano e i livelli di percezione? Quali sono
le relazioni tra architettura, contesto e colore? E' la persona che
percepisce lo spazio...è rispettato l'equilibrio percettivo in
questo spazio urbano? Le trasformazioni, anche cromatiche, sono state
concordate con la cittadinanza? C'è una progettazione partecipata?
C'è coerenza?
Quali
siano i colori di Milano non mi è chiaro (evoluzione
storica a parte),
ma penso ci sia ancora molto su cui lavorare in
quest'ambito e sul
quale riflettere...vetri e diamanti a parte.
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Foto Laura Caligiuri |