RELAZIONE
CON L'AMBIENTE
L'essere
umano vive in costante relazione con lo spazio, sia endogeno
(rapporto con noi stessi), che esogeno (la realtà attorno) e i
segnali visivi nell'ambiente sono
fondamentali per poter formare quella che viene definita mappa
cognitiva.
"La
rappresentazione interna che ci facciamo di un ambiente, delle strade
che possiamo prendere per percorrerlo, dei suoi elementi
percettivamente più rilevanti, degli oggetti che possono essere
utili per i nostri scopi e di quelli che possono metterci in pericolo
o ostacolarci, viene chiamata mappa cognitiva". (Maria
Rosa Baroni, "Psicologia Ambientale", Il Mulino, 1998,
pag.45)
"Nel
corso della mia esperienza professionale e personale, ho compreso
quanto importante fosse rapportarsi con uno schema che definirei
“diagramma relazionale”. La sua struttura formale semplificata
consiste in un triangolo i cui vertici esprimono il coesistere di tre
realtà che tutti costantemente percepiamo nella vita:
-
la relazione con noi stessi ( esiste quindi anche uno spazio interiore)
-
la relazione con gli altri (sia nel momento in cui ci rapportiamo materialmente e concretamente all'altro, sia quando l'unione è nella memoria)
-
la relazione con lo spazio/realtà attorno
Mi
sembra sia importante rendersi consapevoli del fatto che, nella vita,
siamo animali relazionali e che gli spazi di relazione sono interni
ed esterni, nostri e di altri, nostri e della realtà che ci
circonda. Luoghi interiori e sociali formano un insieme che, per
continuare ad esistere in armonia, ha bisogno di rispetto. La
crescita, la conoscenza, la costruttività positiva non possono
svilupparsi, se non trovano terreno fertile. Non c'è coesione o
condivisione nella scarsa coscienza di quello che siamo e nel mancato
amore verso l'altro, qualsiasi cosa sia l'altro. Aiuta capire,
aiuta essere migliori sapere che la relazione biunivoca tra noi e il
mondo non finisce mai e che se poca stima, poco rispetto e poco amore
c'è tra le parti, non si potrà arrivare in nessun posto e nulla
potrà essere costruito." (C. Polli, E. Giunta, "Pagina
20", La Memoria del Mondo Ed., Magenta, 2009)
Ogni
volta percorriamo, attraversiamo, incontriamo un LUOGO, la parte
istintuale del nostro cervello analizza la situazione nella sua
totalità. Guardandoci attorno cerchiamo di capire, mediante i
segnali presenti, se vi siano le condizioni biologiche ottimali per
sopravvivere o se ci siano minacce, pericoli.
Le
informazioni che vengono percepite dall'ambiente, spesso sono
selezionate attraverso schemi (U. Neisser, J. Gibson)
preesistenti nella mente, che dirigono l' attenzione a certi aspetti
piuttosto che ad altri.
Un
ambiente nuovo attiva una serie di
aspettative, legate alle esperienze precedenti ( e quindi ad uno
schema),
che portano l'individuo a cercare categorie rispondenti allo schema
stesso, per poter ri-conoscere ciò che vede.
Nel
momento in cui percepisce un ambiente come accogliente, inoffensivo,
piacevole, l'uomo prova la sensazione di benessere. Per esempio un
paese/ambiente armonico, portatore di vantaggi, inoffensivo, “bello”,
viene vissuto con interesse e piacevolezza e aiuta la coesione
sociale.
Per
questa continua relazionalità reciproca tra uomo e contesto vissuto,
dobbiamo considerare l'ambiente come un insieme di fattori capaci di
ifluenzare la qualità della nostra vita.
Superfici,
materiali, colori, i loro accostamenti, i loro aspetti intrinsechi,
devono essere coerenti coi propri significati biologici e con i
bisogni biologici dell'uomo. Ogni artefatto suscita in noi
aspettative, biologiche e culturali e ad esse deve rispondere.
KEVIN
LYNCH e il WAYFINDIG
L'essere
umano reagisce all'ambiente attraverso una “coralità sensoriale”
orientata dalle necessità biologiche di specie e dal proprio vissuto
(quindi anche culturale, antropologico, simbolico). Entrano,
nell'atto di ri-conoscimento dei luoghi da parte del percettore,
l'esperienza, il vissuto, le emozioni e la memoria, che danno
ulteriore significato al paesaggio “abitato”.
"Spesso
la nostra percezione della città non è distinta, ma piuttosto
parziale, frammentaria, mista ad altre sensazioni. Praticamente ogni
nostro senso è in gioco e l'immagine è l'aggregato di tutti gli
stimoli. (...) Una buona immagine ambientale dà a chi la possiede un
importante senso di sicurezza emotiva. Gli consente di stabilire tra
sé e il mondo circostante una relazione armoniosa. Questa
costituisce un sentimento, opposto allo smarrimento di chi ha perso
l'orientamento: il dolce sentimento della propria casa è più forte
quando la casa è non solo familiare, ma anche distintiva. In
effetti, un ambiente distintivo e leggibile, non solo offre
sicurezza, ma amplia la profondità e l'intensità possibili
all'esperienza umana." (Kevin Lynch,"L'Immagine
della Città", Marsilio Editore, VE, 1982, pag. 23)
Secondo
l'architetto urbanista Kevin Lynch l'immagine ambientale è il
risultato di un processo reciproco tra l'osservatore ed il suo
ambiente e può variare in modo notevole da un osservatore all'altro.
Ciò che l'osservatore percepisce è basato sulla forma esterna, ma
soprattutto è determinato dal modo in cui egli interpreta e
organizza la realtà, nonché dal modo in cui orienta la sua
attenzione verso essa.
Pur
esistendo un'immagine propria per ogni individuo, sembra comunque
esservi un certo accordo tra membri di uno stesso gruppo (gruppo di
percezione), per cui si può parlare di "immagine pubblica"
condivisa, dove bisogni, aspettative, riferimenti sono similari.
Un
ambiente che risulti LEGGIBILE e FIGURABILE all'osservatore, (e/o al
gruppo di percezione), offre sicurezza e valori
positivi quali: la soddisfazione emotiva, il sistema di comunicazione
e di organizzazione concettuale.
Tali
proprietà, utili all'efficienza e alla sopravvivenza (non
dimentichiamoci di essere animali
biologici) non sono gli unici fattori
importanti per rendere coerente una città; dimensioni quali
“estensione”, “tempo” e “complessità” interagiscono con
la percezione dell'osservatore e con la sua storia
personale/soggettiva di essere umano. “Dobbiamo considerare la
città non come un oggetto a sé stante, ma nei modi in cui essa
viene percepita dai suoi abitanti” (K. Lynch, op. cit. pag. 25)
Gli
spazi urbani, inoltre, risultano funzionali se gli aspetti legati
alla comunicazione e alla comprensione dei luoghi vengono progettati
secondo: "Un uso coerente e una precisa organizzazione di
segnali sensoriali”, ovvero applicando quello strumento che egli
definisce nel 1960 Wayfinding (letteralmente, trovare la
strada).
Il wayfinding
non si riferisce soltanto ad espliciti sistemi comunicativi come la
segnaletica stradale e direzionale, ma alla progettazione globale
dello spazio; progettazione che deve riguardare allestimenti,
organizzazione, arredi e tutto ciò che sia da ausilio
all'orientamento.
“L’orientamento
nello spazio non dipende solo dalla capacità di rispondere alle
esplicite istruzioni di un sistema segnaletico, bensì anche, e a
volte soprattutto, dalla capacità a reagire agli stimoli sensoriali,
alle sollecitazioni di materie e colori, agli inviti delle affordance
dell’ambiente”.
(Zingale,
Boeri, Pastore, 2011)
La
città capace di fornire un buon orientamento, ha un'immagine
chiara e
consente a chi la percorre di muoversi agevolmente, di trovare ciò
che sta cercando in poco tempo e di leggere il territorio come un
sistema di riferimento che organizza attività, opinioni, conoscenza.
Nel
1992 viene pubblicato "WAYFINDING people signs and
Architecture", di R. Passini e D. Arthur, dove il wayfinding
viene descritto come uno strumento atto a rispondere ai bisogni di
orientamento della gente che deve risolvere problemi in spazi urbani
e architettonici. Sinteticamente, le persone che si trovano a
confrontarsi con uno spazio soprattutto sconosciuto, percepiscono
l'ambiente attraverso tre precisi momenti:
1)
elaborazione di una MAPPATURA COGNITIVA (raccolta di informazioni e
di immagini)
2)
formulazione di un PIANO d'azione
3)
decisione di esecuzione, SOLUZIONE (realizzazione di un piano)
Se,
per esempio, un turista deve trovare un negozio di frutta e verdura
nel paese che sta visitando, per prima cosa raccoglierà mentalmente
tutte le informazioni possibili dall'esterno, poi utilizzando i
segnali raccolti penserà a come arrivare a destinazione e alla fine
realizzerà il suo percorso con mezzi e tempi stabiliti. Più saranno
semplici e immediati i segnali e le informazioni provenienti
dall'esterno e meno problemi avrà questa persona ad arrivare al
negozio.
Un
buon intervento di wayfinding deve essere studiato
e distribuito per FACILITARE L'ORIENTAMENTO (per es. condurre
persone estranee ad un edificio, ad un punto desiderato, senza far
porre domande durante il percorso e senza incertezze che implichino
perdite di tempo).
Deve
rispondere a domande come: Dove mi trovo? Dove devo andare? Come
saprò di esserci arrivato?, attraverso segnali d'informazione,
segnali di percorso, segnali di identificazione.
Attraverso
l'uso del wayfinding si può migliorare la qualità di vita, rendendo
l'ambiente più rassicurante, capace di comunicare nell'immediato i
segnali utili all'orientamento.
P. Gernes, Ospedale di Herlev, Danimarca, 1968-1976 |