lunedì 11 agosto 2025

La moralizzazione del colore

Il colore è luce ed è una sensazione cerebrale. Basterebbe questo per raccontarlo. Ma a noi umani non basta, perchè abbiamo uno strano bisogno di stringere relazioni tra varie realtà e il colore "umano" non è soltanto percezione, bensì associazione culturale, convenzione, costume, usanza, aspettativa, modello mentale...per citare alcune sfaccettature. Siamo animali sociali e il colore si permea di tutte le conseguenti correlazioni.


 

Il colore dovrebbe essere un elemento fisico, fisiologico, percettivo, biologico, fisiologico, psicologico e certo anche sociale, antropologico e culturale, artistico, umanistico...però privo di connotazioni ideologiche. Impossibile. E' talmente parte della vita, in ogni suo aspetto, che diviene simbolo e significato sempre di qualcosa; riti e miti si impossessano dei colori, così come credenze e abitudini. 

Il passo verso la moralizzazione del colore è breve. Come afferma James Hillman: "Il razzismo dell'Europa e dell'America settentrionale potrebbe essere iniziato con la moralizzazione dei termini che definiscono il colore. Molto prima che qualsiasi avventuriero di lingua inglese toccasse le coste dell'Africa occidentale, i significati di nero nel XV secolo comprendevano le seguenti accezioni: profondamente macchiato di sporcizia; sordido; sporco; marcio; maligno; atroce; orribile; cattivo; disastroso; pernicioso; sinistro... Quando i primi marinai di lingua inglese sbarcarono sulle coste dell'Africa, definirono i nativi come neri. Questo fu il primo termine descrittivo da essi usato: non nudi, non selvaggi, non pagani, ma neri. Una volta attribuito, questo aggettivo portò con sé tutti i significati impliciti del termine. Il termine inglese bianco per caratterizzare un gruppo etnico appare per la prima volta nel 1604, dopo la percezione degli africani come neri. La moralizzazione e la contraddizione fra bianco e nero continua ancora oggi, poichè bianco corrisponde a buono, nero a cattivo, sporco, immondo, sinistro, malvagio, e così via. Il termine bianco per definire i cristiani divenne comune nella lingua americana a partire dal 1680." [HILLMAN, JAMES, Il colore "non colore", in Aa.Vv., I colori della vita, Editrice La Stampa, Convegno Internazionale Torino, 27-28 agosto 1995, Torino 1995, pag. 21]

 


Potremmo citare molti esempi della nostra storia, in cui i nomi del colore diventano moralizzanti: dall'Inghilterra dei puritani dove le prostitute venivano marchiate a fuoco con la lettera scarlatta e chiamate appunto scarlets, al termine pericolo giallo coniato da Guglielmo II di Germania, nel 1895, per riferirsi alle popolazioni cinesi; a ogni altro putroppo conosciuto e famoso riferimento cromatico, utilizzato per ghettizzare, destabilizzare, dominare, sottomettere e umiliare popoli e alterità.


I colori dovrebbero essere soltanto vita. E rispetto. Perchè di base ogni sfumatura ha un suo senso, una sua motivazione di esistere e non importa se ci possa o meno piacere (il carattere soggettivo del colore è una logica conseguenza del nostro percepirlo); tutti i colori ci sono utili, biologicamente necessari e la loro magia sta nel fatto che sono diversi. 

Sarebbe perfetto un mondo dove i termini usati per definire i vari colori, fossero SOLO utilizzati per questo scopo e non sconfinassero nella negatività del razzismo, del moralismo, del potere e della dominazione. Sarebbe fantastico se servissero SOLO a definire la bellezza della pace, della comunione rispettosa tra popoli, del rispetto dell'altro e delle differenze, dell'aiuto reciproco, dell'amore. 

Un mondo che non esiste, indifferente al bisogno, tristemente colpevole.


Bibliografia

FALCINELLI, RICCARDO, Cromorama, Einaudi Stile Libero Extra, Torino 2017

PASTOUREAU, MICHEL, Nero. Storia di un colore, Ponte delle Grazie, Milano 2008

PASTOUREAU, MICHEL, Rosso, Ponte delle Grazie, Milano 2016

KASTAN, DAVID S., Sul colore, Einaudi, Torino 2018

 

 

 

 

Nessun commento:

Posta un commento