lunedì 30 gennaio 2012

Cibarsi di colore

Ambiente solare





Il colore, che ormai sappiamo essere una sensazione che si forma nel nostro cervello, non appartiene in effetti agli oggetti, non è una caratteristica “reale” di ciò che vediamo; è un risultato di interazioni diverse, tra luce, materia, occhio che “guarda” e rielaborazioni a livello cerebrale. Esso comporta comunque anche una percezione soggettiva e culturale, per cui ciò che “vediamo” viene interpretato e vissuto attraverso l'esperienza, sia  personale, che proveniente da un “inconscio collettivo” di Junghiana memoria (e del resto anche lo psicologo Max Luscher ci riporta nel suo esame dei colori a primitive sensazioni umane, archetipiche e di matrice biologica).
Attraverso il colore possiamo identificare con maggior sicurezza forme, aspetti tattili, odori, sapori, anche suoni, in un continuo rapporto sinestetico, tanto da essere a volte condizionati (e qui insiste l'aspetto soggettivo, costituito anche di aspettative ed emozioni) e preferire, scegliere, scartare, odiare qualcosa rispetto ad altro.
Confrontando gli studi delle neuroscienze, inoltre, sappiamo che  luci selettivate di alta, bassa o media frequenza (all'interno dello spettro visibile dei colori) influiscono sul nostro organismo e concorrono ad attivare l'ipotalamo, l'epifisi, l'ipofisi e quindi il Sistema Nervoso Autonomo (Parasimpatico e Simpatico).
L'essere umano, in quanto soma e psiche, dal primo momento in cui ha percepito il colore ne è stato costantemente influenzato. Senza il colore non avrebbe perpetuato la specie: non si sarebbe difeso, non si sarebbe cibato, non avrebbe scelto sessualmente il compagno/la compagna...Vediamo a colori perché così è più facile sopravvivere.

Ambiente vivace


 
Molto si è detto e scritto sul rapporto tra colore e cibo, intendendo per “cibo” sia l'alimento in sé e il sistema “alimentazione”, che l'apparato scenico attorno all'argomento (architettura, ambiente, food-design, product-design).
Sono stati analizzati micro e macrocosmi dal punto di vista biologico, fisiologico, fisico, psicologico, percettivo, culturale, storico, sociale, simbolico e neuroscientifico (per esempio: sensazioni di Fame e Sete vengono provocate e regolate dall'ipotalamo. Sempre l'ipotalamo, nei due centri della fame e della sazietà, regola inoltre l'assunzione di cibo. La luce selettivata da alta frequenza - attorno al blu - attiva maggiormente il SNA parasimpatico, evocando la sensazione di fame; la luce selettivata a bassa frequenza - attorno al rosso -, attiva maggiormente il SNA simpatico, evocando invece sazietà.).

Natural style

 

Paola Bressan ci da una significativa spiegazione di come del resto i colori e il cibo siano in stretta connessione e "ci appartengano" fisicamente e fisiologicamente: "L'area della retina (superficie che ricopre interamente il fondo dell'occhio, n.d.a.) in cui si trova la fovea (regione situata in corrispondenza del fuoco del cristallino, n.d.a.) è gialla perché contiene carotenoidi, pigmenti antiossidanti di cui è stato abbondantemente documentato il ruolo protettivo. Probabilmente questi pigmenti hanno la funzione di filtrare le lunghezze d'onda non-spettrali vicine al blu, che non contribuiscono alla visione e hanno un contenuto di energia pericolosamente alto. Gli occhi di tutti i vertebrati diurni contengono filtri gialli; nel nostro la stessa funzione è svolta anche dal cristallino, che comincia a ingiallire ancor prima della nascita e diventa progressivamente più giallo nel tempo. L'eliminazione dei carotenoidi dalla dieta è accompagnata dalla scomparsa della pigmentazione gialla nella zona centrale della retina, e causa una degenerazione dei fotorecettori che può condurre a disturbi visivi anche molto gravi. Questi importanti carotenoidi, che non dovrebbero mancare nell'alimentazione quotidiana, sono presenti soprattutto nel tuorlo d'uovo, nelle arance, negli spinaci e in tutte le verdure a foglia di colore verde scuro.(...)” P. Bressan, “Il colore della luna”, Ed. Laterza, Roma-Bari, 2007, pag. 38)
 


Recenti ricerche hanno posto l'attenzione sulla percezione del colore e l'assunzione del cibo: in Svizzera un gruppo di ricercatori dell'Istituto di Psicologia dell'Ateneo di Basilea, guidati da Oliver Genschow  e da Leonie Reutner, ha  effettuato degli studi sugli effetti emotivi del rosso, dai quali è emerso che piatti, bicchieri, posate, tovaglie e tovaglioli colorati di rosso possono ridurre l'assunzione di cibo. Secondo i ricercatori tale colore produce una sorta di allarme nel cervello, che sopprime il senso di fame. Essendo un colore usato per i segnali collegati ai “divieti”, il rosso diventerebbe cioè una sorta di freno alla fame e all'assunzione del cibo.


 
Al di là di sperimentazioni e ricerche, possiamo sicuramente affermare che il “nutrirsi”, azione non solo fisiologica/biologica e sociale/culturale, è un atto altamente polisensoriale e perciò collegato alla vista. Inoltre cibo ed oggetti ad esso connessi subiscono il fascino dell'evocazione simbolica del colore, del mito  e della ritualità.
  

Apparecchiare una tavola, bere la propria tisana in una data tazza, sorseggiare del vino, scegliere piatti e posate, condividere con altri il momento del pranzo o della cena, creare una merenda...diventano situazioni di identificazione con l'oggetto, con l'atmosfera, con il luogo. Attraverso l'utilizzo del colore ci si appropria di un'identità, si lanciano messaggi, si mettono in evidenza caratteristiche di sé e dell'ambiente vissuto, allo scopo anche di esternare il desiderio di  personalizzazione, che rende diversi, unici.



Allora la propria tazza è forse rossa, come una ciliegia matura, perché in questo preciso momento c'è bisogno di un calore diverso, di una forza da riscoprire. La tavola per la cena con gli amici X e Y, diventa un richiamo ai toni naturali della canapa, del lino (o del caffè, cappuccino e panna), un po' trend e un po' natural-design, perché loro rientrano in questo scenario. Mentre per K e J la tavola dev'essere un'esplosione di colore, poiché la loro vivacità ben si adatta ad un'atmosfera così gioiosa...

venerdì 13 gennaio 2012

MIMETISMO in natura

Art Wolfe, Mimetismo












Il nostro sistema visivo ci fornisce una immagine colorata di ciò che stiamo osservando; questa è una nostra caratteristica biologica, utile per la sopravvivenza. (Difesa, orientamento, riproduzione, etc.)
Uno dei fenomeni presenti in natura, collegato alla sopravvivenza della specie è il MIMETISMO. 

Art Wolfe, "Ghepardo"





  
"Lo gnu, una specie di antilope africana, non ha sensazioni cromatiche o, per lo meno, le ha così parziali e limitate, da poter azzardare che la sua visione sia paragonabile al bianco e nero (ovviamente con tutta la scala di grigi in mezzo). Se così non fosse, i grandi felini, suoi predatori, rischierebbero di morire di fame. La predazione è tanto più facile, come si sa, quanto più è ridotta la distanza tra la preda e il predatore. Il predatore ha due vantaggi. Il primo è senz'altro l'impossibilità della preda di vedere differenze cromatiche tra lo sfondo e il predatore, il secondo vantaggio di quest'ultimo è che la sua livrea di solito è più scura sulla schiena e più chiara nella parte ventrale. La luce, schiarisce la schiena. Non arrivando ad illuminare la parte bassa del corpo, annulla l'ombra che tradirebbe il felino rendendone visibile il volume." (Giulio Bertagna, Aldo Bottoli, "Perception Design", Maggioli Editore, 2009, cit. pag.92)
Fin dai primi anni novanta dell'Ottocento, anche l'artista americano Abbott Handerson Thayer, si interessò al “mimetismo”, fornendo una spiegazione al fenomeno della cosiddetta contrombreggiatura, basata sulle proprietà ottiche della luce e delle ombre. Gli animali, secondo il pittore, sono naturalmente più scuri nelle parti più illuminate e più chiari in quelle nascoste alla luce e, come già detto nella citazione di Bertagna e Bottoli, la luce del sole schiarisce il manto scuro, annullando l'ombra. Per Thayer l'inganno visivo ottenuto dalla contrombreggiatura, aveva lo scopo di rendere l'animale più o meno invisibile nell'ambiente naturale. Tale studio portò l'artista a consigliare all'esercito degli Stati Uniti (guerra ispano-americana 1898) di sfruttare l'effetto mimetico, ma non venne ascoltato. Solo nel 1917 gli inglesi applicarono le idee di Thayer, introducendo così le prime uniformi mimetiche.


Art Wolfe, "Raganella marmorata sudamericana"
















I colori mimetici, criptici, che negano essenzialmente una segnalazione, possono essere procriptici o anticriptici. I primi, tipici per esempio della cavalletta verde, servono a difendersi (adattamento procriptico), perciò a “non farsi vedere” da altri animali per paura di essere catturati. I secondi, per esempio della mantide verde, hanno invece l'obiettivo di “nascondersi” (adattamento anticriptico) per attaccare e cibarsi.
Mimetizzandosi, non si esiste. Perciò, confondendosi col contesto, o si riesce a catturare la preda (cibo), o ci si difende dai predatori. Vita e morte, continuità e sopravvivenza della specie.



Sull'argomento vorrei segnalare il libro di Art Wolfe, fotografo naturalista, con testi di Barbara Sleeper zoologa e psicologa, dal titolo “Mimetismo”, edito da Equatore, Mi, 2006, da cui ho tratto le foto di questo articolo.
L'ho trovato estremamente “artistico” ed emozionante.