venerdì 19 giugno 2015

Ambiente - Kevin Lynch - Wayfinding

RELAZIONE CON L'AMBIENTE



L'essere umano vive in costante relazione con lo spazio, sia endogeno (rapporto con noi stessi), che esogeno (la realtà attorno) e i segnali visivi nell'ambiente sono fondamentali per poter formare quella che viene definita mappa cognitiva.

"La rappresentazione interna che ci facciamo di un ambiente, delle strade che possiamo prendere per percorrerlo, dei suoi elementi percettivamente più rilevanti, degli oggetti che possono essere utili per i nostri scopi e di quelli che possono metterci in pericolo o ostacolarci, viene chiamata mappa cognitiva". (Maria Rosa Baroni, "Psicologia Ambientale", Il Mulino, 1998, pag.45)


"Nel corso della mia esperienza professionale e personale, ho compreso quanto importante fosse rapportarsi con uno schema che definirei “diagramma relazionale”. La sua struttura formale semplificata consiste in un triangolo i cui vertici esprimono il coesistere di tre realtà che tutti costantemente percepiamo nella vita:

  • la relazione con noi stessi ( esiste quindi anche uno spazio interiore)
  • la relazione con gli altri (sia nel momento in cui ci rapportiamo materialmente e concretamente all'altro, sia quando l'unione è nella memoria)
  • la relazione con lo spazio/realtà attorno

Mi sembra sia importante rendersi consapevoli del fatto che, nella vita, siamo animali relazionali e che gli spazi di relazione sono interni ed esterni, nostri e di altri, nostri e della realtà che ci circonda. Luoghi interiori e sociali formano un insieme che, per continuare ad esistere in armonia, ha bisogno di rispetto. La crescita, la conoscenza, la costruttività positiva non possono svilupparsi, se non trovano terreno fertile. Non c'è coesione o condivisione nella scarsa coscienza di quello che siamo e nel mancato amore verso l'altro, qualsiasi cosa sia l'altro. Aiuta capire, aiuta essere migliori sapere che la relazione biunivoca tra noi e il mondo non finisce mai e che se poca stima, poco rispetto e poco amore c'è tra le parti, non si potrà arrivare in nessun posto e nulla potrà essere costruito." (C. Polli, E. Giunta, "Pagina 20", La Memoria del Mondo Ed., Magenta, 2009)

Ogni volta percorriamo, attraversiamo, incontriamo un LUOGO, la parte istintuale del nostro cervello analizza la situazione nella sua totalità. Guardandoci attorno cerchiamo di capire, mediante i segnali presenti, se vi siano le condizioni biologiche ottimali per sopravvivere o se ci siano minacce, pericoli.
Le informazioni che vengono percepite dall'ambiente, spesso sono selezionate attraverso schemi (U. Neisser, J. Gibson) preesistenti nella mente, che dirigono l' attenzione a certi aspetti piuttosto che ad altri.

Un ambiente nuovo attiva una serie di aspettative, legate alle esperienze precedenti ( e quindi ad uno schema), che portano l'individuo a cercare categorie rispondenti allo schema stesso, per poter ri-conoscere ciò che vede.

Nel momento in cui percepisce un ambiente come accogliente, inoffensivo, piacevole, l'uomo prova la sensazione di benessere. Per esempio un paese/ambiente armonico, portatore di vantaggi, inoffensivo, “bello”, viene vissuto con interesse e piacevolezza e aiuta la coesione sociale.


Per questa continua relazionalità reciproca tra uomo e contesto vissuto, dobbiamo considerare l'ambiente come un insieme di fattori capaci di ifluenzare la qualità della nostra vita.
Superfici, materiali, colori, i loro accostamenti, i loro aspetti intrinsechi, devono essere coerenti coi propri significati biologici e con i bisogni biologici dell'uomo. Ogni artefatto suscita in noi aspettative, biologiche e culturali e ad esse deve rispondere.




KEVIN LYNCH e il WAYFINDIG

L'essere umano reagisce all'ambiente attraverso una “coralità sensoriale” orientata dalle necessità biologiche di specie e dal proprio vissuto (quindi anche culturale, antropologico, simbolico). Entrano, nell'atto di ri-conoscimento dei luoghi da parte del percettore, l'esperienza, il vissuto, le emozioni e la memoria, che danno ulteriore significato al paesaggio “abitato”.

"Spesso la nostra percezione della città non è distinta, ma piuttosto parziale, frammentaria, mista ad altre sensazioni. Praticamente ogni nostro senso è in gioco e l'immagine è l'aggregato di tutti gli stimoli. (...) Una buona immagine ambientale dà a chi la possiede un importante senso di sicurezza emotiva. Gli consente di stabilire tra sé e il mondo circostante una relazione armoniosa. Questa costituisce un sentimento, opposto allo smarrimento di chi ha perso l'orientamento: il dolce sentimento della propria casa è più forte quando la casa è non solo familiare, ma anche distintiva. In effetti, un ambiente distintivo e leggibile, non solo offre sicurezza, ma amplia la profondità e l'intensità possibili all'esperienza umana." (Kevin Lynch,"L'Immagine della Città", Marsilio Editore, VE, 1982, pag. 23)


Secondo l'architetto urbanista Kevin Lynch l'immagine ambientale è il risultato di un processo reciproco tra l'osservatore ed il suo ambiente e può variare in modo notevole da un osservatore all'altro. Ciò che l'osservatore percepisce è basato sulla forma esterna, ma soprattutto è determinato dal modo in cui egli interpreta e organizza la realtà, nonché dal modo in cui orienta la sua attenzione verso essa.

Pur esistendo un'immagine propria per ogni individuo, sembra comunque esservi un certo accordo tra membri di uno stesso gruppo (gruppo di percezione), per cui si può parlare di "immagine pubblica" condivisa, dove bisogni, aspettative, riferimenti sono similari.

Un ambiente che risulti LEGGIBILE e FIGURABILE all'osservatore, (e/o al gruppo di percezione), offre sicurezza e valori positivi quali: la soddisfazione emotiva, il sistema di comunicazione e di organizzazione concettuale.

Tali proprietà, utili all'efficienza e alla sopravvivenza (non dimentichiamoci di essere animali biologici) non sono gli unici fattori importanti per rendere coerente una città; dimensioni quali “estensione”, “tempo” e “complessità” interagiscono con la percezione dell'osservatore e con la sua storia personale/soggettiva di essere umano. “Dobbiamo considerare la città non come un oggetto a sé stante, ma nei modi in cui essa viene percepita dai suoi abitanti” (K. Lynch, op. cit. pag. 25)

Gli spazi urbani, inoltre, risultano funzionali se gli aspetti legati alla comunicazione e alla comprensione dei luoghi vengono progettati secondo: "Un uso coerente e una precisa organizzazione di segnali sensoriali”, ovvero applicando quello strumento che egli definisce nel 1960 Wayfinding (letteralmente, trovare la strada).

Il wayfinding non si riferisce soltanto ad espliciti sistemi comunicativi come la segnaletica stradale e direzionale, ma alla progettazione globale dello spazio; progettazione che deve riguardare allestimenti, organizzazione, arredi e tutto ciò che sia da ausilio all'orientamento.

L’orientamento nello spazio non dipende solo dalla capacità di rispondere alle esplicite istruzioni di un sistema segnaletico, bensì anche, e a volte soprattutto, dalla capacità a reagire agli stimoli sensoriali, alle sollecitazioni di materie e colori, agli inviti delle affordance dell’ambiente”. (Zingale, Boeri, Pastore, 2011)

La città capace di fornire un buon orientamento, ha un'immagine chiara e consente a chi la percorre di muoversi agevolmente, di trovare ciò che sta cercando in poco tempo e di leggere il territorio come un sistema di riferimento che organizza attività, opinioni, conoscenza.

Nel 1992 viene pubblicato "WAYFINDING people signs and Architecture", di R. Passini e D. Arthur, dove il wayfinding viene descritto come uno strumento atto a rispondere ai bisogni di orientamento della gente che deve risolvere problemi in spazi urbani e architettonici. Sinteticamente, le persone che si trovano a confrontarsi con uno spazio soprattutto sconosciuto, percepiscono l'ambiente attraverso tre precisi momenti:

1) elaborazione di una MAPPATURA COGNITIVA (raccolta di informazioni e di immagini)
2) formulazione di un PIANO d'azione
3) decisione di esecuzione, SOLUZIONE (realizzazione di un piano)


Se, per esempio, un turista deve trovare un negozio di frutta e verdura nel paese che sta visitando, per prima cosa raccoglierà mentalmente tutte le informazioni possibili dall'esterno, poi utilizzando i segnali raccolti penserà a come arrivare a destinazione e alla fine realizzerà il suo percorso con mezzi e tempi stabiliti. Più saranno semplici e immediati i segnali e le informazioni provenienti dall'esterno e meno problemi avrà questa persona ad arrivare al negozio.

Un buon intervento di wayfinding deve essere studiato e distribuito per FACILITARE L'ORIENTAMENTO (per es. condurre persone estranee ad un edificio, ad un punto desiderato, senza far porre domande durante il percorso e senza incertezze che implichino perdite di tempo).

Deve rispondere a domande come: Dove mi trovo? Dove devo andare? Come saprò di esserci arrivato?, attraverso segnali d'informazione, segnali di percorso, segnali di identificazione.

Attraverso l'uso del wayfinding si può migliorare la qualità di vita, rendendo l'ambiente più rassicurante, capace di comunicare nell'immediato i segnali utili all'orientamento.




P. Gernes, Ospedale di Herlev, Danimarca, 1968-1976







giovedì 7 maggio 2015

I colori di Londra





















Londra già raccontata, da tanti, da troppi...che dovrei dire io? Fare un'analisi critica ed accurata dei colori di architetture, arredi, paesaggi, luci, materie, spazi? Lanciarmi in disamine sulla percezione e sull'utilizzo di tinte identitarie e di tradizione? O innovative? Parlare di contesti, ambienti, del rosso Routemaster, della magia dei luoghi, della pecora Shirley?


Mi sento piccola di fronte a tutto questo. Non piccola in senso fisico, come quando ho guardato dal basso verso l'alto (inevitabilmente...) il "cetriolino" di N. Foster e il Lloyd building di R. Rogers, ma minuscola nel mio non sapere come affrontare una storia così bella e così piena di significati. 

Perchè camminare annusando l'aria fresca, nelle vie di Covent Garden, incontrando multicolori scorci e piccoli angoli dove le persone si siedono, si ritrovano, leggono, mangiano qualcosa, si godono il sole, è già poesia...ed io non sono un poeta! 


Covent Garden





















Nè mi sembra possibile riuscire a comunicare l'allegra sensazione di leggerezza che mi ha colto tra i vari banchi del mercato di Notting Hill, assaggiando un frutto, ascoltando voci, guardando oggetti, in totale abbandono polisensoriale.























Colori? Basta osservare attorno a sè i prospetti degli edifici, i particolari, le porte, o il paesaggio naturale, per ritrovare un equilibrio cromatico, per ri-conoscere la città, per assaporarne la storia.





















Londra è una storia di materie, di incontri tra il vecchio e il nuovo che condividono attimi, che confidano nel rapporto tra misure e cromatismi. Nulla lascia insofferenti e nulla è lì per caso.



















Dovrei davvero, da architetto, parlare di interventi, di R. Piano, di N. Foster, di utilizzo di materiali e tecniche? Buttarmi su temi come l'urbanizzazione, la conservazione, il dialogo tra tradizione e modernità? E' questo che ci si aspetta da un architetto?

Io a Londra ho respirato i luoghi. Mi sono lasciata andare all'osservazione della gente, al modo di vivere e utilizzare gli spazi urbani. Ho assaporato i dettagli culturali, artistici, la cura e il rispetto della stessa città, che in ogni dove si possono trovare.
Mi sono seduta sui gradini in piazza, dopo aver visitato la National Gallery, col sogno negli occhi che ricordavano un Vermeer o un Van Gogh. Ho scherzato con il venditore di hot dogs che indicava ridendo a noi turisti l'appartamento con la porta blu, dove hanno girato il film Notting Hill. Ho assaggiato un delizioso muffin al mirtillo. Mi sono sdraiata sull'erba ad Hyde Park. Ho cercato di non perdere ogni colore visibile, sulle vetrine, nelle vetrine, negli intonaci, infissi, arredi urbani, pavimentazioni...
No, certo, non ho visto molto, non ho visitato tutto, non so come possano essere le periferie...Ma qualcosa l'ho notato, mi è rimasto, mi ha entusiasmato. 
Ho portato con me suggestioni ed emozioni, come capita, dopotutto, ogni volta si viaggia, si esce, si va, ci si avvicina ad "altro".  



















L'architettura non è un edificio. E' un mondo fatto di persone, prima di tutto, di sensi che rielaborano, di immagini e filosofie; è un fatto culturale. E' l'espressione di qualcosa, che non può limitarsi ad un microcosmo, ma che si estende e si espande verso l'esterno, avvinghiandosi a concetti e realtà propri di altri mondi. E' un' entità in movimento, in evoluzione. Dovrebbe partire dai bisogni, dovrebbe farsi carico dei bisogni. Entrare in sintonia con il paesaggio e chi lo vive. lo abita.
Come il viaggio...
No, non posso davvero raccontare Londra, come molti miei bravi colleghi saprebbero fare. Io l'ho vissuta. Ho costruito così il mio viaggio, la mia storia.

martedì 17 marzo 2015

Una palette colore per l'arte

Quadro Luigi Giulio, opera floreale Elisabetta Ferazza, schema cromatico Cristina Polli


Nell'evento del 2014 a cui hanno partecipato l'artista Giulio Luigi e la flower designer Ferazza Elisabetta (vedi post), ho cercato di reinterpretare l'opera d'arte attraverso l'utilizzo del sistema NCS o Natural Color System.
L'osservazione del quadro, come di una qualsiasi altra immagine (un oggetto, uno scenario, un paesaggio, un edificio...), può essere tradotta in uno schema cromatico, che riassume, delinea, identifica, coordina ed ordina i colori presenti nell'opera. 
L'operazione di notifica, che progettualmente è utile al fine soprattutto comunicativo (non appoggiandosi più ad un naming casuale ed imperfetto, possiamo identificare e chiamare i colori con codici precisi), in questo caso diventa un nuovo linguaggio per raccontare l'arte.

 

 













Le diverse tinte, i colori, vengono estrapolati e poi rappresentati in una composizione che tiene conto di vari parametri:

chiarezza del colore
tinta
saturazione
quantità colore presente
contrasto, figura/sfondo
 

Per poter analizzare i colori presenti nel quadro, valutandone le differenze di tinta, saturazione e chiarezza e quindi scegliere i corrispettivi secondo il sistema NCS, ho usato il metodo dell'isolatore comparatore. Viene cioè posizionato sopra la tela un cartoncino con due fori quadrati, in modo che in uno dei due fori risulti il colore da campionare e nell'altro il colore di confronto NCS. 
Il colore da valutare viene cioè isolato dal contesto, per evitare che si verifichino sovrapposizioni simulatenee, letture percettive del colore modificate, ombre colorate etc.  Si effettua una scelta quando si perviene alla somiglianza percettiva tra i due colori.
Il colore identificato risulta comunque essere apparente.


Apparente. E' il colore che vediamo. Varia in tinta, chiarezza e saturazione, a seconda della distanza dell'osservatore, dalle condizioni di illuminazione, dalla temperatura della luce, dal contrasto con lo sfondo, dal colore includente o accostato...etc.








 








Una sconda ipotesi, se si volesse ricreare il colore intrinseco (colore la cui identificazione avviene mediante strumenti di rilievo colorimetrico), è misurare tinte e colori dell'opera attraverso uno strumento appropriato (colorimetro...).









 

giovedì 26 febbraio 2015

PUNTI DI VISTA



Cosa vediamo? Cosa guardiamo? Cosa osserviamo? Cosa percepiamo? 
Mentre siamo seduti alla nostra scrivania in ufficio, mentre siamo in un letto d'ospedale nella camera di degenza, mentre lavoriamo ad una postazione... Di fronte a noi cosa c'è? Bellissimo se ci fosse una finestra vista lago, montagna, mare...o tetti antichi con gatti che si rincorrono e raggi di sole che giocano sui coppi. O la visione di una città che si apre a noi, nell'arte e nella cultura.
Spesso, però, di fronte a noi c'è una semplice parete. Liscia, monotona, di un unico colore, magari con qualche quadro appeso, un po' triste, un po' anonimo. Un monitor video. Una foto...

"La nostra percezione si basa essenzialmente sulla rilevazione delle differenze e di mutamenti. L'osservazione prolungata di una parete bianca illuminata in maniera uniforme e costante è faticosa e tende a farci deconcentrare. I nostri occhi, così come gli altri sensi, sono alla ricerca di contrasti e differenze. (...) Una scena uniforme finisce per non comunicare niente perché non c'è niente da segnalare." ( E. Boncinelli, "la vita della nostra mente", Ed. Laterza, Roma-Bari, 2011, pag. 96)

Ebbene si. La monotonia, l'uniformità, non ci aiutano. Abbiamo bisogno di policromia.
I contrasti di luminosità e saturazione, nonché di tonalità, rendono gli ambienti più dinamici, non monotoni, più ricchi di informazioni e quindi vicini al bisogno di differenze che il nostro cervello in automatico ricerca anche per rilassarsi.

 
Studio per progetto pilota Ospedale La Carità di Locarno. Arch. C. Polli - designer M. Pastore

Punti di vista, certo, ma le neuroscienze ci vengono in aiuto per supportare tali concetti e trovo sconcertante che ancora ci sia poca informazione e poca coscienza nell'affrontare progetti destinati agli spazi pubblici, dove l'uomo coi propri bisogni dovrebbe essere messo al centro di ogni fase progettuale. 
Ancora si fa fatica (questioni economiche, di sensibilità, di struttura mentale...) a far capire che un progetto cromatico percettivo può diventare uno strumento basilare per rispondere alle diverse e molteplici esigenze dell'uomo negli spazi di vita, di lavoro, di educazione e di cura.

Punti di vista, d'accordo, ma il malato che "deve" guardare la parete davanti a sè forse preferirebbe lasciare vagare lo sguardo su elementi cromatici differenziati, per perdersi, rilassarsi, concedersi un respiro, un sogno. Forse "staccare" dal computer, dai fogli sulla propria scrivania, alzare la testa e trovare di fronte segni e colori che possano per un momento far cambiare prospettiva, sarebbe d'ausilio anche alla creatività.

Credo sia importante, sempre nella vita, osservare il tutto da diversi punti di vista, senza costringersi ad un' unica modalità, ad una sola direzione, alla regoletta stereotipata.
Allargare vedute e sguardi, mettendosi nella situazione di provare, sperimentare, capire, innovare, procedendo per fasi e verifiche, è una possibile strada verso il progetto.

Il colore stesso è sperimentazione. E' luogo, è tempo, è spazio. E' segno. E' informazione.


Studio Piano di Tinta Sistema NCS per Ospedale. arch. C. Polli