domenica 13 gennaio 2019

MARRONE CASTAGNA

Esistono differenze tra castagna e marrone: pezzatura, provenienza, tipologia di albero , qualità gustative e utilizzo. Non entro nel merito.
Sta di fatto che la colorazione della comune castagna, con sfumature diverse, è quella che denominiamo semplicemente con il color marrone.
In Francese l’aggettivo marrone pare derivi dal nome del frutto apparso nel XVI secolo, per l’appunto una grossa castagna.

















Della castagna, mi piace questa definizione di Widmann: “(…) frutto della terra, dal guscio legnoso, che raccoglie su di sé la gamma cromatica dell’autunno, che esalta le proprie colorazioni brune quando viene arrostito sulla brace, che è polposo e moderatamente dolce quando lo mangiamo caldo e sgusciato, che fu il solo cibo invernale dei poveri per molti secoli e che oggi è immagine di pigre serate trascorse davanti al camino...” (C.Widmann, pag. 247) che mi riporta al senso di convivialità, di famiglia, dello stare bene insieme, del coccolarsi nel tepore della propria abitazione.

Conscia del mio considerare la castagna una cosa (come direbbe la Fiorani) e il comportamento ad essa associato un insieme di attività neuronali che si attivano nel cervello ancora prima di essere effettuate, unisco inevitabilmente il frutto al gesto e al contesto: allungare la mano per raccogliere nei boschi, camminare, trovare osservando con attenzione e poi mondare, preparare, cucinare. Vedo il fuoco del camino e le mondelle scoppiettanti nella padella bucata. O la pentola con l’acqua che bolle. O gli amici che preparano frittelle.



Non conoscevo le frittelle fatte con la farina di castagne e devo dire che, grazie agli amici Enrica e Giorgio, ora felicemente possiedo la memoria del profumo – prima questo arriva quando vengono fritte nell’olio e poi cosparse di zucchero – della vista che si bea di un marrone mischiato al bianco del velo dolce, del gusto meraviglioso impossibile da descrivere, del suono dello sfrigolare e poi del masticare e del tatto, perché le frittelle, per poterle assaporare, si devono portare alla bocca con le mani. Un’esperienza polisensoriale.
Cibo povero, antico, vero. Senza finzione, senza falsità. Puro. Come l’amicizia sincera.








Colori della terra. Colori della natura. E la farina, di per sé biancastra, con la cottura ritorna ad essere marrone...

Lego alla castagna tempo e spazio e quel senso di pace e lentezza che deriva dal gustare l’attimo e la vita, con gli affetti reali.



Il marrone che colore è?

Se consideriamo il Sistema NCS ed osserviamo il cerchio cromatico, ove vengono collocate le quaranta tinte, di sicuro non possiamo trovare quello che siamo soliti chiamare marrone, di qualsiasi natura tale marrone sia. Dobbiamo entrare nella sezione verticale dello spazio dei colori per scoprire che di marroni ne esistono parecchi, ma sono colori – le cosiddette nuances – ovvero tinte con diversi gradi di bianchezza, nerezza e cromaticità.

Marrone castagna

Anche la castagna ha i suoi marroni...intesi come colori.
Prese in considerazione e mappate con il lettore per la rilevazione ColourPin 2, alcune castagne (crude), i marroni evidenziati hanno le seguenti notazioni:









7010-R10B
8005-Y80R
8005-R20B
8010-Y90R
8005-Y50R
5010-Y50R
4010-Y50R


Prendo l’esempio del piano di tinta Y50R e di seguito riporto i colori, che riprodotti su display, risultano essere solo indicativi. (Per visionare i campioni effettivi al fine di un qualsiasi riscontro progettuale ed applicativo bisogna far riferimento ai reali campioni del sistema NCS).

4010-Y50R       




5010-Y50R      

8005-Y50R     


La natura ci regala sempre stimoli interessanti e qui la palette è decisamente degna di nota.
I marroni – della stessa castagna - che ho esaminato, fanno parte di un piano di tinta uguale.
Pur sapendolo, rimaniamo sempre affascinati dal fatto che le nuances derivino da una tinta base, in questo caso la Y50R, apparentemente molto lontana dall’idea di marrone che abbiamo categorizzato nella nostra mente.


0585-Y50R   



Piccola appendice


Max Lùscher e il marrone

Secondo Max Lùscher i colori della natura hanno esercitato un’influenza profonda su tutti noi, sia a livello conscio che inconscio, psicologico e fisiologico. Inoltre: “La distinzione, l’identificazione, il nome dei colori, come ogni reazione estetica ad esso, sono tutte funzioni della corteccia cerebrale; esse sono, perciò, il risultato dello sviluppo e dell’educazione più che risposte istintive, riflesse e reattive.” (M. Lùscher, pag. 18)
Nel suo oramai famoso Test di Colori, il marrone è collocato tra gli ausiliari e viene definito come un giallo-rosso scuro. Lùscher dice che: “La vitalità estroversa del rosso è ridotta, attenuata e resa più tranquilla da tale scurarsi; è uno spezzarsi, come direbbe il pittore. Il marrone ha, pertanto, ceduto l’impulso creativo estroverso e la forza vitale attiva del rosso. La vitalità non è più efficiente, ma passiva, recettiva, sensoria. Il marrone, pertanto, rappresenta la sensazione applicata ai sensi. E’ sensuale, con riferimento diretto al corpo, in senso fisico...” (pag 63)













Categorizzazioni

Attraverso l’ipotesi riduzionista, a contrasto con quella del relativismo linguistico, Berlin e Kay (1958 -1969) dimostrano che esiste un numero limitato di nomi chiave, undici per l’esattezza, universali, le cosiddette “ categorizzazioni monolexemiche” o a nome singolo, che – come direbbe la Ronchi (2000) – aprono una “finestra naturalistica sul mondo della percezione”.
In effetti tali ricerche vennero supportate negli anni successivi da altri studi sia in campo strettamente linguistico, che psicologico e neurofisiologico.
Confrontando, in una ricerca empirica, i significati dei termini di colore secondo i parlanti di venti lingue diverse e allargando in seguito il quadro, a partire da dati bibliografici pregressi, ad altre settantotto lingue senza alcun particolare nesso generico fra loro, i due studiosi sono arrivati a dimostrare come in tutte le lingue del mondo si trovino, al di là delle possibili differenze lessicali, undici termini fondamentali a cui tutti gli altri possono essere ricondotti.” (M. Agnello, pag. 50)
Il lessico di base analizzato trascende le differenze linguistiche e si fonda su principi percettivi, biologici e fisiologici universali, per cui il significato dei termini di colore di tutte le lingue del mondo pare avere le stesse regole semantiche; tutte le lingue possiedono almeno due termini per indicare il bianco e il nero, a seguire se i termini di base diventano tre, il terzo elemento sarà sempre rosso e così via, in una scala così ordinata: nero, bianco, rosso, verde, giallo, blu, marrone, porpora, rosa, arancio, grigio.
Al di là delle possibili considerazioni sulla collocazione delle ipotesi di Barlin e Kay, per lo più di stampo naturalistica e di fatto opposta a quella culturalista, dubbiosa sui metodi di ricerca utilizzati dagli studiosi, l’analisi interessa storici e antropologi, che l’hanno utilizzata per ulteriori sviluppi e comprendendone aspetti prettamente culturali. E’ condivisibile insomma il fatto che i principali colori di base individuabili in ogni cultura siano sempre gli stessi undici.







Bibliografia

L. R. Ronchi, “Visione e Illuminazoine alle porte del 2000”, Vol. II, Fondazione Giorgio Ronchi, LXXII, FI, 2000
M. Agnello, “Semiotica dei colori”, Carocci Ed. & Bussole, Roma, 2013
M. Lùscher, “Il test dei colori”, Astrolabio, Roma, 1976
C. Widmann, “Il simbolismo dei colori”, Ed. Scientifiche Magi, Roma, 2000
M. Pastoureau, “ I colori del nostro tempo“, Ponte delle Grazie, MI, 2010
E. Fiorani, “Il mondo degli oggetti”, Lupetti, MI, 2001









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