Grazie all'Ordine degli Architetti di NO-VCO, è stato pubblicato questo articolo.
Mi fa sempre piacere poter diffondere alcune considerazioni, riflessioni sul colore nel progetto.
Il testo un poco rivisitato, lo riporto qui sotto per poterlo leggere anche dal blog. Lo condivido volentieri.
“Potremmo
definire il colore come una specifica sensazione che
si forma nel nostro cervello; esso non appartiene, di fatto, agli
oggetti, non è una caratteristica “reale” di ciò che vediamo; è
un risultato di interazioni diverse, tra luce, materia, occhio che
“osserva” e rielaborazioni a livello cerebrale. In
effetti la realtà, che
non è come sembra, è
acromatica.
Per
vedere il colore (variabile visiva) sono necessari:
azione della luce - interazione con la materia (oggetto illuminato) -
sistema visivo (osservatore) - sensazioni cerebrali (osservatore) e,
aggiungerei, contesto nel quale è collocato.
Vedere
e
percepire,
però, non
sono la stessa cosa. E' definibile visione il
momento cerebrale in cui gli elementi presenti nel campo di
osservazione attivano il nostro sistema visivo, a prescindere dalla
elaborazione istintuale e cognitiva. E' una rielaborazione fisica e
fisiologica. Percepire
invece
è
dare significati, implica
la capacità di
osservare, cogliere
particolari.
Parliamo
di percezione
istintuale, che
permette
di raccogliere le informazioni utili a valutare la posizione rispetto
alle cose e verificare che non vi siano insidie all'interno dello
spazio visivo. Utile
da
sempre per
la nostra
sopravvivenza.
Pensiamo
al colore utilizzato in natura per la difesa,
l’orientamento,
la
riproduzione,
etc. . Ma
negli esseri umani sussiste anche quella che potremmo definire
percezione
cognitiva;
essa
permette
un utilizzo più completo della scena, che viene percepita nella sua
globalità e ricchezza anche di contenuti culturali. Il
colore che vediamo è quindi colore
percepito,
non
intrinseco
e
dipende dalla cultura,
religione, esperienze, attese, aspettative, imprinting proprie
di
ognuno di noi.
L’approccio
percettivo al progetto, fondato
sullo studio della percezione umana, deve
tener conto proprio di questa differenziazione, per comprendere le
informazioni che vengono fornite dal colore e poterle poi gestire e
comunicare nel modo migliore.
Intanto
sfaterei
il classico mito del colore che, negli
spazi, funziona
come una sorta di magia: il
verde rilassa, il celeste pure...al di là del fatto che dovremmo
capire di quale dei tanti
verdi che percepiamo
si
sta parlando,
non
esiste un
colore adatto
a...semmai una possibile
serie
di colori, una policromia che si rifà ad un mondo naturale nel quale
l'uomo da sempre ha
vissuto. Secondo
Lucia Ronchi (Corth
1983) per
milioni di anni i primati sono stati esposti ad una luce diurna che
veniva filtrata dalla vegetazione e
l'essere
umano ha imparato ad abitare
spazi, secondo stimoli provenienti da questo
ambiente
naturale temperato. La complessità visiva e i
mutamenti
sono perciò biologicamente adatti all'uomo. Policromia,
contrasti, utilizzo di gradienti, effetti figura/sfondo, fondali,
linee di confine e altri sistemi allogativi, risultano pertanto
esempi
di applicazione coerenti
- in
un progetto cromatico - per
raggiungere un equilibrio psicofisiologico portatore di benessere.
Luce
e colore sono strumenti di progetto e come tali andrebbero
trattati e analizzati, partendo
da studi torici interdisciplinari – basi direi obbligatorie in un
percorso di ricerca - atti a supportare conclusioni e applicazioni.
Ogni
progetto è diverso; obiettivi, percettori e stato dell'arte cambiano
di volta in volta. Le istanze a cui possiamo rispondere con l'ausilio
di colore e luce sono svariate: orientamento,
comunicazione, utilizzo dello spazio e degli oggetti, segnalazione
e
comprensione dell'ambiente,
agevolazione
del comportamento,
etc.
Sempre
e soprattutto,
comunque,
già
in fase meta-progettuale si deve partire
dai
bisogni del
percettore che fruisce lo spazio. La
scena percettiva è costruita per le persone ed attorno ad esse, in
quanto
la qualità delle relazioni passa attraverso la qualità
dell’ambiente e
c’è
sempre correlazione/biunivocità tra l’individuo e l’ambiente
vissuto – interno
od esterno -,
per il quale ciascuno di noi crea una propria “mappa mentale” di
riferimento. In
tal senso l’estetica
del progetto deve per forza passare attraverso l’etica.
Se
poi ci si occupa di spazi della cura o
dell’educazione tutto
questo diviene ancora più importante: strutture,
spazi dedicati all’assistenza e
alla cura
di un’utenza fragile, abbisognano infatti
di
maggiori
attenzioni
verso la qualità percettiva ambientale.”
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