lunedì 5 febbraio 2018

CONTRASTO












La percezione, come il linguaggio, ha bisogno di contrasti
per assumere il proprio significato” (R. Gregory, “Occhio e cervello”, pag. 284)


Dove ci sono troppe informazioni (iperstimolazione) o troppo poche (ipostimolazione), il cervello non presta attenzione, oppure si stanca. Il cambiamento è una necessità biologica dell'essere umano, mentre la monotonia (mono-tono, monotono…) è meno accettabile.
Come ci insegnano gli studi di neuroscienza, il cervello si è evoluto per abitare un mondo fatto di contrasti e cambi di scena. 


Un ambiente senza contrasto, che lo renda leggibile, figurabile, dinamico, biologicamente più vicino ai nostri bisogni psicofisiologici, risulta essere stancante.


Uno spazio policromatico (studiato e progettato) soddisfa esigenze percettive.







La natura ce lo racconta ogni istante e dimostra quanto importante siano i cambiamenti, le sfumature, i chiaroscuri, la possibilità di mimetizzarsi e di evidenziarsi all'interno di uno scenario. J. Gibson ci parla di gradienti di tinta, di luminosità nella lettura percettiva del mondo e materia, texture si propongono ricche di elementi e di informazioni, al fine di rendere leggibile il contesto.















I contrasti sono parte integrante del nostro vivere. Senza di essi regnerebbe la monotona definizione di un universo piatto e inconsistente. Senza mutamenti di luminosità e di colore non distingueremmo distanze, né volumi, l'orientamento verrebbe disturbato e a poco a poco ci spegneremmo, come una pianta che muore se privata della luce.
 
Il contrasto è fonte di segnali e significati, ci dona un arricchimento che è proprio della diversità. Così come una composizione musicale non può essere costruita su un'unica nota, ma si alimenta di accordi, melodie, intervalli, silenzi, anche la nostra percezione visiva (che del resto sviluppa sinergie sinestesiche) abbisogna di più elementi correlati tra loro per funzionare pienamente.

La stessa lettura di un qualsiasi font (un segno, una frase, una parola scritta) si basa sul contrasto figura/sfondo, utilizzando differente tinta, saturazione e chiarezza.

Impossibile leggere nero su nero, o rosso su blu quando rosso e blu vibrano della stessa impetuosa cromaticità.

 
















I contrasti non chiedono però il caos, che confonde e crea stanchezza. Il cervello si nutre di variazioni, ma deve controllare e comprendere i dati che arrivano; quando vi è surplus di dati, si ha il tilt, manca l'equilibrio.

Detto ciò, vi è bellezza nella differenziazione e quello che in quantità potrebbe sparire in mezzo ad un tutto, si fa notare come elemento saliente, fino a divenire protagonista della scena stressa.
Cosa noteremmo, se ci fosse un foglia rossa, sopra una pietra chiara? La bianchezza o il punto (R. Barthes lo chiamerebbe punctum) rosso? E cosa ci direbbe tale diversità?
 














Se siamo strutturati per acquisire informazioni e rielaborare percezioni, dove l'altro, l'altra cosa, sono substrato per la conoscenza globale e dove il contrasto funge da sistema interpretativo, supportando la nostra esistenza biologica, perché da essere umani, tra e con gli esseri umani, lo rifiutiamo, lo accusiamo, lo emarginiamo, ne abbiamo paura?

La foglia rossa nel chiarore dello sfondo, non porta forse una novità intrigante? Non ci rende più curiosi ed interessati a quel che vediamo? Non ci conduce su vie alternative meno scontate?

La natura ci insegna, dicevo… Ogni componente non è posto a caso e il contrasto tra diversi elementi cattura lo sguardo, dà indicazioni utili per la sopravvivenza, rievoca suggestioni. La policromia fa parte di noi e ci rispetta.






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