Esistono
differenze tra castagna e marrone: pezzatura,
provenienza, tipologia di albero , qualità gustative e utilizzo. Non
entro nel merito.
Sta
di fatto che la colorazione della comune castagna, con sfumature
diverse, è quella che denominiamo semplicemente con il color
marrone.
In
Francese l’aggettivo marrone pare derivi dal nome del
frutto apparso nel XVI secolo, per l’appunto una grossa castagna.
Della
castagna, mi piace questa definizione di Widmann: “(…) frutto
della terra, dal guscio legnoso, che raccoglie su di sé la gamma
cromatica dell’autunno, che esalta le proprie colorazioni brune
quando viene arrostito sulla brace, che è polposo e moderatamente
dolce quando lo mangiamo caldo e sgusciato, che fu il solo cibo
invernale dei poveri per molti secoli e che oggi è immagine di pigre
serate trascorse davanti al camino...” (C.Widmann, pag. 247)
che mi riporta al senso di convivialità, di famiglia, dello stare
bene insieme, del coccolarsi nel tepore della propria abitazione.
Conscia
del mio considerare la castagna una cosa (come direbbe la Fiorani) e
il comportamento ad essa associato un insieme di attività neuronali
che si attivano nel cervello ancora prima di essere effettuate,
unisco inevitabilmente il frutto al gesto e al contesto: allungare la
mano per raccogliere nei boschi, camminare, trovare osservando con
attenzione e poi mondare, preparare, cucinare. Vedo il fuoco del
camino e le mondelle scoppiettanti nella padella bucata. O la pentola
con l’acqua che bolle. O gli amici che preparano frittelle.
Non
conoscevo le frittelle fatte con la farina di castagne e devo dire
che, grazie agli amici Enrica e Giorgio, ora felicemente possiedo la
memoria del profumo – prima questo arriva quando vengono fritte
nell’olio e poi cosparse di zucchero – della vista che si bea di
un marrone mischiato al bianco del velo dolce, del gusto meraviglioso
impossibile da descrivere, del suono dello sfrigolare e poi del
masticare e del tatto, perché le frittelle, per poterle assaporare,
si devono portare alla bocca con le mani. Un’esperienza
polisensoriale.
Cibo
povero, antico, vero. Senza finzione, senza falsità. Puro. Come
l’amicizia sincera.
Colori
della terra. Colori della natura. E la farina, di per sé biancastra,
con la cottura ritorna ad essere marrone...
Lego
alla castagna tempo e spazio e quel senso di pace e lentezza che
deriva dal gustare l’attimo e la vita, con gli affetti reali.
Il
marrone che colore è?
Se
consideriamo il Sistema NCS ed osserviamo il cerchio cromatico, ove
vengono collocate le quaranta tinte, di sicuro non possiamo trovare
quello che siamo soliti chiamare marrone, di
qualsiasi natura tale marrone sia. Dobbiamo entrare nella sezione
verticale dello spazio dei colori per scoprire che di marroni ne
esistono parecchi, ma sono colori
– le cosiddette nuances – ovvero tinte con diversi gradi di
bianchezza, nerezza e cromaticità.
Marrone
castagna
Anche la castagna ha i suoi
marroni...intesi come colori.
Prese in considerazione e mappate con
il lettore per la rilevazione ColourPin 2, alcune castagne (crude), i
marroni evidenziati hanno le seguenti notazioni:
7010-R10B
8005-Y80R
8005-R20B
8010-Y90R
8005-Y50R
5010-Y50R
4010-Y50R
Prendo
l’esempio del piano di tinta Y50R e di seguito riporto i colori,
che riprodotti
su
display,
risultano essere solo
indicativi.
(Per
visionare i campioni effettivi al fine di
un qualsiasi riscontro
progettuale ed applicativo bisogna
far
riferimento
ai
reali campioni del
sistema NCS).
4010-Y50R |
5010-Y50R |
8005-Y50R |
La
natura ci regala sempre stimoli interessanti e qui la palette è
decisamente degna di nota.
I
marroni – della stessa castagna - che ho esaminato, fanno parte di
un piano di tinta uguale.
Pur
sapendolo, rimaniamo sempre affascinati dal fatto che le nuances
derivino da una tinta base, in
questo caso la
Y50R, apparentemente molto lontana dall’idea di marrone
che
abbiamo categorizzato nella nostra mente.
0585-Y50R |
Piccola
appendice
Max
Lùscher e il marrone
Secondo
Max Lùscher i colori della natura hanno esercitato un’influenza
profonda su tutti noi, sia a livello conscio che inconscio,
psicologico e fisiologico. Inoltre: “La distinzione,
l’identificazione, il nome dei colori, come ogni reazione estetica
ad esso, sono tutte funzioni della corteccia cerebrale; esse sono,
perciò, il risultato dello sviluppo e dell’educazione più che
risposte istintive, riflesse e reattive.” (M. Lùscher, pag. 18)
Nel
suo oramai famoso Test di Colori, il marrone è collocato tra gli
ausiliari e viene definito come un giallo-rosso scuro. Lùscher
dice che: “La vitalità estroversa del rosso è ridotta, attenuata
e resa più tranquilla da tale scurarsi; è uno spezzarsi, come
direbbe il pittore. Il marrone ha, pertanto, ceduto l’impulso
creativo estroverso e la forza vitale attiva del rosso. La vitalità
non è più efficiente, ma passiva, recettiva, sensoria. Il marrone,
pertanto, rappresenta la sensazione applicata ai sensi. E’
sensuale, con riferimento diretto al corpo, in senso fisico...”
(pag 63)
Categorizzazioni
Attraverso
l’ipotesi riduzionista, a contrasto con quella del relativismo
linguistico, Berlin e Kay (1958 -1969) dimostrano che esiste un
numero limitato di nomi chiave, undici per l’esattezza, universali,
le cosiddette “ categorizzazioni monolexemiche” o a nome
singolo, che – come direbbe la Ronchi (2000) – aprono una
“finestra naturalistica sul mondo della percezione”.
In
effetti tali ricerche vennero supportate negli anni successivi da
altri studi sia in campo strettamente linguistico, che psicologico e
neurofisiologico.
“Confrontando,
in una ricerca empirica, i significati dei termini di colore secondo
i parlanti di venti lingue diverse e allargando in seguito il quadro,
a partire da dati bibliografici pregressi, ad altre settantotto
lingue senza alcun particolare nesso generico fra loro, i due
studiosi sono arrivati a dimostrare come in tutte le lingue del mondo
si trovino, al di là delle possibili differenze lessicali, undici
termini fondamentali a cui tutti gli altri possono essere
ricondotti.” (M. Agnello, pag. 50)
Il
lessico di base analizzato trascende le differenze linguistiche e si
fonda su principi percettivi, biologici e fisiologici universali, per
cui il significato dei termini di colore di tutte le lingue del mondo
pare avere le stesse regole semantiche; tutte le lingue possiedono
almeno due termini per indicare il bianco e il nero, a seguire se i
termini di base diventano tre, il terzo elemento sarà sempre rosso e
così via, in una scala così ordinata: nero, bianco, rosso, verde,
giallo, blu, marrone, porpora, rosa, arancio, grigio.
Al
di là delle possibili considerazioni sulla collocazione delle
ipotesi di Barlin e Kay, per lo più di stampo naturalistica e di
fatto opposta a quella culturalista, dubbiosa sui metodi di ricerca
utilizzati dagli studiosi, l’analisi interessa storici e
antropologi, che l’hanno utilizzata per ulteriori sviluppi e
comprendendone aspetti prettamente culturali. E’ condivisibile
insomma il fatto che i principali colori di base individuabili in
ogni cultura siano sempre gli stessi undici.
Bibliografia
L.
R. Ronchi, “Visione e Illuminazoine alle porte del 2000”, Vol.
II, Fondazione Giorgio Ronchi, LXXII, FI, 2000
M.
Agnello, “Semiotica dei colori”, Carocci Ed. & Bussole, Roma,
2013
M.
Lùscher, “Il test dei colori”, Astrolabio, Roma, 1976
C.
Widmann, “Il simbolismo dei colori”, Ed. Scientifiche Magi, Roma,
2000
M.
Pastoureau, “ I colori del nostro tempo“, Ponte delle Grazie, MI,
2010
E.
Fiorani, “Il mondo degli oggetti”, Lupetti, MI, 2001
Nessun commento:
Posta un commento