Credevo non mi sarebbe più capitato di sentir dire: " Per i colori dei locali ci pensino le donne" ed invece ecco che riappare come per magia lo spirito divisionista che separa competenze, gusti, sensibilità, distribuendo compiti e capacità a sessi diversi.
Mi sento amareggiata (proprio con l'amaro in bocca) per una superficialità che però va ad inficiare sul lavoro professionale di chi sta impostando scientificamente il proprio progetto.
Innanzitutto non so chi abbia deciso che le donne debbano avere obbligatoriamente una maggiore capacità/sensibilità nel decidere quali tinte o colori siano più o meno appropriate in uno spazio; inutile sottolineare che non ci sono differenze tra uomini e donne nella professione del color designer; caso mai ci sono metodi e approcci diversi, ma nulla hanno a che vedere con il sesso.
Secondo punto: ci pensino le donne come a dire: il colore è un fatto estetico, femminile, di puro gusto, io uomo non ne capisco e non ne voglio neanche capire, perché poca importanza ha, alla fine, in una ristrutturazione/riqualificazione e perché non mi compete.
GUSTO? ESTETICA? DECORAZIONE? Siamo ancora a questi vetusti livelli?
Terzo punto: ma il progettista, anzi LA progettista, che ruolo ha? Nel gruppo di donne al plurale menzionato dal proprietario/committente, dove è collocata l'architetto? Il progetto cromatico non è ancora considerato un reale progetto, ma una decorazione da aggiungere per bellezza? Le competenze, conoscenze, basi interdisciplinari tecniche e scientifiche che servono di supporto al progetto cromatico percettivo e di cui si avvale l'architetto o color designer, possono essere scavalcate da chiunque desideri dire la sua? Con tutto il rispetto, non sono io di certo qualla che sostiene la prevaricazione del progettista sul committente, anzi! Ben venga lo scambio, la comunicazione, il cercare di assolvere e risponedre ai bisogni di chi richiede il lavoro, mettendo in primo piano le persone e le loro esigenze.
Diverso però è delegare ad un imprecisato gruppo di donne, con mollezza e indelicatezza, il progetto- non-progetto, senza dare la dovuta importanza alla componente cromatica e alla sua collocazione/allogazione nello spazio.
Polemica? Forse. O solo stanca.
Innanzitutto non so chi abbia deciso che le donne debbano avere obbligatoriamente una maggiore capacità/sensibilità nel decidere quali tinte o colori siano più o meno appropriate in uno spazio; inutile sottolineare che non ci sono differenze tra uomini e donne nella professione del color designer; caso mai ci sono metodi e approcci diversi, ma nulla hanno a che vedere con il sesso.
Secondo punto: ci pensino le donne come a dire: il colore è un fatto estetico, femminile, di puro gusto, io uomo non ne capisco e non ne voglio neanche capire, perché poca importanza ha, alla fine, in una ristrutturazione/riqualificazione e perché non mi compete.
GUSTO? ESTETICA? DECORAZIONE? Siamo ancora a questi vetusti livelli?
Terzo punto: ma il progettista, anzi LA progettista, che ruolo ha? Nel gruppo di donne al plurale menzionato dal proprietario/committente, dove è collocata l'architetto? Il progetto cromatico non è ancora considerato un reale progetto, ma una decorazione da aggiungere per bellezza? Le competenze, conoscenze, basi interdisciplinari tecniche e scientifiche che servono di supporto al progetto cromatico percettivo e di cui si avvale l'architetto o color designer, possono essere scavalcate da chiunque desideri dire la sua? Con tutto il rispetto, non sono io di certo qualla che sostiene la prevaricazione del progettista sul committente, anzi! Ben venga lo scambio, la comunicazione, il cercare di assolvere e risponedre ai bisogni di chi richiede il lavoro, mettendo in primo piano le persone e le loro esigenze.
Diverso però è delegare ad un imprecisato gruppo di donne, con mollezza e indelicatezza, il progetto- non-progetto, senza dare la dovuta importanza alla componente cromatica e alla sua collocazione/allogazione nello spazio.
Polemica? Forse. O solo stanca.
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