Londra già raccontata, da tanti, da troppi...che dovrei dire io? Fare un'analisi critica ed accurata dei colori di architetture, arredi, paesaggi, luci, materie, spazi? Lanciarmi in disamine sulla percezione e sull'utilizzo di tinte identitarie e di tradizione? O innovative? Parlare di contesti, ambienti, del rosso Routemaster, della magia dei luoghi, della pecora Shirley?
Mi sento piccola di fronte a tutto questo. Non piccola in senso fisico, come quando ho guardato dal basso verso l'alto (inevitabilmente...) il "cetriolino" di N. Foster e il Lloyd building di R. Rogers, ma minuscola nel mio non sapere come affrontare una storia così bella e così piena di significati.
Perchè camminare annusando l'aria fresca, nelle vie di Covent Garden, incontrando multicolori scorci e piccoli angoli dove le persone si siedono, si ritrovano, leggono, mangiano qualcosa, si godono il sole, è già poesia...ed io non sono un poeta!
Covent Garden |
Nè mi sembra possibile riuscire a comunicare l'allegra sensazione di leggerezza che mi ha colto tra i vari banchi del mercato di Notting Hill, assaggiando un frutto, ascoltando voci, guardando oggetti, in totale abbandono polisensoriale.
Colori? Basta osservare attorno a sè i prospetti degli edifici, i particolari, le porte, o il paesaggio naturale, per ritrovare un equilibrio cromatico, per ri-conoscere la città, per assaporarne la storia.
Londra è una storia di materie, di incontri tra il vecchio e il nuovo che condividono attimi, che confidano nel rapporto tra misure e cromatismi. Nulla lascia insofferenti e nulla è lì per caso.
Dovrei davvero, da architetto, parlare di interventi, di R. Piano, di N. Foster, di utilizzo di materiali e tecniche? Buttarmi su temi come l'urbanizzazione, la conservazione, il dialogo tra tradizione e modernità? E' questo che ci si aspetta da un architetto?
Io a Londra ho respirato i luoghi. Mi sono lasciata andare all'osservazione della gente, al modo di vivere e utilizzare gli spazi urbani. Ho assaporato i dettagli culturali, artistici, la cura e il rispetto della stessa città, che in ogni dove si possono trovare.
Mi sono seduta sui gradini in piazza, dopo aver visitato la National Gallery, col sogno negli occhi che ricordavano un Vermeer o un Van Gogh. Ho scherzato con il venditore di hot dogs che indicava ridendo a noi turisti l'appartamento con la porta blu, dove hanno girato il film Notting Hill. Ho assaggiato un delizioso muffin al mirtillo. Mi sono sdraiata sull'erba ad Hyde Park. Ho cercato di non perdere ogni colore visibile, sulle vetrine, nelle vetrine, negli intonaci, infissi, arredi urbani, pavimentazioni...
No, certo, non ho visto molto, non ho visitato tutto, non so come possano essere le periferie...Ma qualcosa l'ho notato, mi è rimasto, mi ha entusiasmato.
Ho portato con me suggestioni ed emozioni, come capita, dopotutto, ogni volta si viaggia, si esce, si va, ci si avvicina ad "altro".
L'architettura non è un edificio. E' un mondo fatto di persone, prima di tutto, di sensi che rielaborano, di immagini e filosofie; è un fatto culturale. E' l'espressione di qualcosa, che non può limitarsi ad un microcosmo, ma che si estende e si espande verso l'esterno, avvinghiandosi a concetti e realtà propri di altri mondi. E' un' entità in movimento, in evoluzione. Dovrebbe partire dai bisogni, dovrebbe farsi carico dei bisogni. Entrare in sintonia con il paesaggio e chi lo vive. lo abita.
Come il viaggio...
No, non posso davvero raccontare Londra, come molti miei bravi colleghi saprebbero fare. Io l'ho vissuta. Ho costruito così il mio viaggio, la mia storia.