“La percezione non mi dà come verità una geometria, ma delle presenze”
(M. Merleau-Ponty)
Etimologia della parola PROGETTARE: dal latino pro iacere, "gettare avanti".
Progettare correttamente vuol dire "guardare avanti", valutare tutte le componenti: come l'oggetto della progettazione verrà percepito, le implicazioni che avrà sull'uomo, sulla società (Tradizione, Storia, Cultura, Evoluzione dei miti/riti dei popoli), sul territorio (Rispetto per l'ambiente, Rispetto per l'uomo), sull'ambiente in generale.
Obiettivo principale del progetto cromatico è stabilire una sorta di sintonia tra l'individuo e lo spazio vissuto; creare un ambiente armonico coerente con l'esigenza di qualità di vita.
L'approccio progettuale quindi deve essere si tecnologico, ma soprattutto umanistico. La componente fisica, tecnica, in sé non può essere sufficiente.
Le basi del progetto cromatico derivano anche dall'approfondimento interdisciplinare di conoscenze legate alla percezione, nei suoi vari aspetti.
Ritengo che, in modo trasversale, uno degli aspetti di cui tener conto sia la capacità di ASCOLTO e OSSERVAZIONE.
"Chi presta attenzione al proprio giorno, scopre l'istante magico"
(Paulo Coelho)
Viviamo in un momento in cui le persone non ascoltano più. Non SI ascoltano più. Nella velocità della comunicazione, si perde il momento, il respiro, l'attesa, la voglia di stare, di fermarsi, di ascoltare. Di “guardare oltre”, di sperimentare e “sentire”, di cogliere il particolare e le atmosfere. Di osservare ciò che vi attorno. Ciò che c'è dentro.
Un progettista, specialmente se si occupa di elementi di percezione, non può permettersi una velocità ingannevole e fuorviante, in disaccordo col rispetto per l'uomo e il suo ambiente di vita.
Ascoltare i luoghi, le persone (il proprio committente), con la dovuta attenzione, porta a comprendere esigenze, bisogni; diviene parte di quell'analisi conoscitiva che il metaprogetto pretende, ma che così non si risolve in un atto puramente fisico-tecnico, poiché diventa volontà partecipativa di porsi verso l'altro (e per “altro” intendo sia la persona, che il territorio, che ogni tipo di spazio interno o esterno, che qualsiasi manufatto).
Osservare il paesaggio
“Per conoscere un luogo occorre fermarsi.
Solo prendendo tempo per noi stessi lo lasciamo entrare dentro di noi.”
(L.Micotti)
L'osservazione del paesaggio (inteso come naturale, antropologico e antropizzato, simbolico, artistico, e così via), non dovrebbe essere un'operazione “estetica”, nel senso rinascimentale del termine, per cui i luoghi vengono letti come una specie di icona, di scenografia, o di museo entro il quale vengono esposte opere da “conservare”, ma da non “vivere”.
Osservare il paesaggio significa entrarne a far parte, cogliendo le differenze, le particolarità, le distinzioni tra territori costruiti e arricchiti dall'uomo e territori spersonalizzati. Vuol dire partecipare a ciò che sta attorno, captando ogni ombra, ogni luce, ogni suono...
Tale partecipazione abbisogna di tempo. Per ricevere stimoli e trarre sensazioni dall'osservazione di aspetti concreti, ci si deve abbandonare all'esperienza paesaggio. Esso esige una rispettosa attenzione, perché solo in questo modo potrà essere interpretato, colto, vissuto, interiorizzato, conosciuto.
Per accorgerci dei luoghi, dobbiamo farli nostri e fare nostre anche le cose, poiché, come sosteneva Heidegger: “Dovremmo imparare a riconoscere che le cose stesse sono i luoghi, e non solo appartengono ad un luogo”.
Partiamo dal presupposto che il paesaggio è tutto ciò che ci circonda; è la realtà divenuta oggetto della nostra osservazione attraverso non esclusivamente la vista, ma anche mediante gli altri sensi (sensazione e quindi percezione) e la consapevolezza di esserci (qui e ora). Il luogo osservato diviene perciò “luogo della mente” (Ottavio de Carli), ricco di connotazioni legate all'osservatore stesso, alla memoria, al sogno, al ricordo.
Anche i suoni, siano essi naturali (acqua, pioggia, torrenti, onde, suoni e richiami di animali, vento, etc.), che antropizzati (rurali e cittadini), fanno parte integrante del paesaggio, costituendone lo sfondo e caratterizzando, a volte, il luogo.
Secondo Ottavio de Carli, musicologo, l'uomo moderno sembra dare meno importanza all'aspetto uditivo; si dice, per esempio: vedere per credere, e non: udire per credere.
Bisognerebbe tutelare il suono, dando valore a sfondi naturali o antropizzati che spesso sono stati soffocati, perchè tali sfondi ci ridanno l'identità del luogo.
Poichè esiste costantemente una relazione biunivoca tra noi e lo spazio attorno, come noi creiamo l'identità di un luogo, così lo spazio diviene una condizione necessaria per la costituzione della nostra identità.
Definire e identificare un luogo, significa anche ri-conoscerlo attraverso i nostri sensi, che ci danno informazioni tratte dall'esterno, che poi il nostro cervello rielabora trasformandole in percezioni.
"I luoghi sono presenze, quindi hanno l'istantaneità e l'imprevedibilità delle presenze"
(F. La Cecla)
Secondo l'urbanista K. Lynch, la nostra percezione di uno spazio, non è distinta, ma parziale e mista ad altre sensazioni. Ogni senso è messo in gioco e l'immagine che se ne ricava è un aggregato di vari stimoli.
L'uomo ha bisogno di riconoscere e strutturare ciò che ha attorno a sè; inoltre: "Una buona immagine ambientale dà a chi la possiede un'importante senso di sicurezza emotiva. Gli consente di stabilire tra sè e il mondo circostante una relazione armoniosa" (pag. 26) .
Un ambiente leggibile in effetti offre sicurezza. Inoltre fornisce valori positivi quali: la soddisfazione emotiva, il sistema di comunicazione e di organizzazione concettuale, la possibilità di profondità che potrebbero acquisire le esperienze quotidiane.
L'immagine ambientale è il risultato di un processo reciproco tra l'osservatore ed il suo ambiente e può variare in modo notevole da un osservatore all'altro. Ciò che l'osservatore vede è basato sulla forma esterna, ma soprattutto è determinato dal modo in cui egli interpreta e organizza la realtà, nonchè dal modo in cui egli orienta la sua attenzione verso essa.
Per leggibilità si intende la facilità con cui le varie parti di un tutto, possono venir riconosciute e possono venir organizzate in un insieme coerente.
Un ambiente dovrebbe anche essere figurabile, capace cioè di invitare l'occhio e l'orecchio ad avere maggiore attenzione e partecipazione, al fine di rendere più conscio l'individuo della sua appartenenza ad esso.
Per figurabilità si intende quella qualità che conferisce ad un oggetto fisico elevate probabilità di suscitare nell'individuo (osservatore) un'immagine forte (di forte riconoscibilità).
Secondo un altro urbanista, G. Cullen, lo spazio viene percepito attraverso il movimento.
Muovendoci noi abbiamo la possibilità di relazionarci con lo spazio attorno. Tale senso di relazionalità viene rielaborato sulla base del concetto di "essere qui e ora" (hic et nunc); essere "hic et nunc" significa entrare completamente in relazione con lo spazio.
Ogni luogo può essere percepito come caotico o tranquillo, attraverso la verticalità e l'orizzontalità del costruito, che crea l'alternarsi di compressione ed espansione.
Il Cullen, anche a tale proposito, rileva una serie di elementi che agiscono biologicamente sull'individuo (elementi di percezione):
- dimensione dello spazio (verticalità e orizzontalità)
- luce naturale
- punti focali
- elementi di sviluppo del percorso (distanze)
- percezione dell'alto e del basso (compressione e dilatazione)
- colore
- forma (pieni e vuoti)
- variazione del materiale
- elementi naturali
"Se pensiamo alle città, il nostro contatto con esse (con New York, per esempio) è un allungare il collo verso l'alto. Il turista un po' grezzo va in giro per New York a vedere le sue meraviglie, e alla fine della sua vacanza ha il collo irrigidito. Invece, il rapporto fra esseri umani ad altezza d'occhio è una parte fondamentale dell'anima nelle città. Il volto delle cose – la loro superficie, il loro rivestimento – il modo in cui leggiamo ciò che s'imbatte in noi ad altezza d'occhio. Come ci studiamo l'un l'altro, come ci guardiamo in faccia, come ci leggiamo – è così che avviene il contatto d'anima. Una città, quindi, avrebbe bisogno di luoghi per questi contatti umani ad altezza d'occhio. Dei luoghi d'incontro. Un incontro non è soltanto un incontro pubblico, è un incontro in pubblico: le persone che s'incontrano fra loro. Fare una pausa dove è possibile avere un momento di contatto ad altezza d'occhio. Se la città non ha dei posti per fare una pausa, come è possibile incontrarsi? Passeggiare, mangiare, chiacchierare, spettegolare. Per la vita della città sono enormemente importanti quei luoghi dove si può chiacchierare. La gente se ne sta vicino a un distributore di bevande fresche e racconta di quello che succede, e quelle chiacchiere sono la vita stessa della città. Si parla in modo diverso da dietro una scrivania o nel séparé di un caffè. Chi ha visto chi, dove; cosa c'è di nuovo, cosa succede – un po' della vita psicologica della città.
Abbiamo bisogno anche di luoghi per il corpo. Luoghi dove i corpi si vedono, s'incontrano, sono in contatto fra loro..." (J. Hillman)
Co-abitare...
"Abitare non è conoscere, è sentirsi a casa (...) esistere non significa immediatamente razionalizzare il mondo, ma semplicemete abitarlo (...)"
(Umberto Galimberti)
L'abitare diviene un co-abitare, un reciproco essere nell'altro. Accorgendosi di sè, del mondo attorno e dell'altro (da alter=diverso, per cui tutti siamo dei diversi), possiamo godere al pieno della vita, mettendo in comune realtà differenti. Il processo di comunicazione, secondo lo psicologo S. Morganti, è un "(...)processo finalizzato alla messa in comune, tra due o più interlocutori, di esperienze, informazioni, pensieri, emozioni."
Per farci capire (se vogliamo davvero essere capiti) e per capire (se vogliamo davvero capire l'altro), occorrono
volontà
motivazione
chiarezza
Mettere in comune non è facile: perchè significa co-abitare, aprirsi all'altro.
Cosa ci impedisce di comunicare?
la fretta
la rigidità
la paura
la sordità
la falsità
Chi ha sempre fretta, corre; ma anche chi ha paura continua a scappare (Da chi? Da cosa? Forse da se stesso?) e corre; così, correndo, si perde qualcosa e lo lascia dietro a sè. Non trattiene ciò che è importante. Non ha una dimensione nella quale vivere serenamente.
Chi è troppo rigido crea regole su regole, per sè e per l'altro. In questo modo costruisce attorno una gabbia, alti muri che soffocano e ingrigiscono la luce.
In fondo chi è troppo rigido, non si dà tempo, forse si autopunisce...ha di nuovo paura.
Chi non sa ascoltare, ha finito d'imparare.Non è più capace di apprendere suoni, parole, significati, sfumature (ovvero la magia dei colori).
Chi non sa essere sincero, mente per primo a se stesso. Crea un mondo di irresponsabilità e non rispetto, per difendersi dalla realtà che a volte è fatica, impegno.
Nella comunicazione hanno grande importanza i silenzi, i vuoti, le mancanze, le assenze; come in una sinfonia, o in un monologo teatrale, devono esserci delle pause, degli effetti. Il silenzio, che in tal caso diviene attivo, passa attraverso la ri-scoperta dell'ascolto (di sè, dell'altro, di ciò che vi è attorno). Ascoltare, del resto,significa prestare orecchio, stare a sentire attentamente.
Usare l'orecchio della coscienza.
Spesso si ha timore del silenzio, perchè ci ri-porta vicino ad una dimensione troppo profonda da riuscire a sopportare.
"La maggior parte degli uomini teme il silenzio, per cui quando cessa il brusio costante, per esempio di un ricevimento, bisogna sempre fare, dire, fischiare, cantare, tossire o mormorare qualcosa. Il bisogno di rumore è quasi insaziabile, anche se talvolta il rumore diventa insopportabile. E' comunque sempre meglio di niente. Quello che si definisce significatamente silenzio di tomba, rende terribilmente inquieti" (C. G. Jung)
Attraverso i silenzi, invece potremmo ritrovare la percezione di noi stessi e del mondo che ci circonda, ponendoci in ascolto.
Ma esiste anche un silenzio negativo, che allontana invece di avvicinare:
"...nessuna violenza supera quella che ha aspetti silenziosi e freddi..."
Ci dice Ungaretti. Ed è vero, poichè il silenzio a volte diventa indifferenza verso l'altro, ostruzionismo, violenza. Così nasce l'incomprensione ed il dolore.
Accorgersi degli opposti...
Pieno e vuoto, ombra e luce, corpo e anima, negativo e positivo...l'uomo esiste in funzione del suo opposto. Non c'è pieno se manca il vuoto.
L'opposto è spesso identificato come il "negativo" di qualcosa. Senza gli aspetti negativi, però, non saremmo gli esseri umani che siamo, imperfetti certo, ma completi. Attraverso le ombre, i chiaro-scuri, i contrasti, è possibile distinguere la luce, i volumi, le differenze. Come potremmo comprendere cos'è bene, in assenza totale del male? Che senso avrebbe il coraggio, se non ci fosse la paura?
Quale peso potremmo dare al bianco, se non potessimo paragonarlo al nero?
Verticale/orizzontale
Cielo/terra
Spirituale/terreno
Spirito/materia
Tutto/niente
Giorno/notte
Maschile/femminile
Destra/sinistra
Alto/basso
Grande/piccolo
Dolce/salato
Vero/falso
E così all'infinito...
L’ascolto secondo A.A. Tomatis
(Nato a Nizza nel 1920, il Prof. Tomatis fin dal 1947 ha dedicato la sua vita alle ricerche sull’orecchio e la voce. Realizzò l’ ”orecchio elettronico”, apparecchio per modificare l’ascolto di un individuo, al fine di fornirgli la possibilità di percepire correttamente le frequenze perdute e di restituirle nell’emissione vocale.)
I testi riportati di seguito sono tratti da:
A.A.Tomatis, "L'orecchio e la vita", Baldini e Castoldi, MI, 1977
W. Passerini, A.A. Tomatis, “Management dell’ascolto”, Franco Angeli, MI, 1994
UDIRE deriva dal latino e significa percepire con l’orecchio suoni, voci, rumori.
ASCOLTARE deriva dalla radice latina auris, cioè orecchio e significa stare a sentire attentamente, prestare orecchio.
Mediante l’adattamento fisiologico l’uomo riesce ad UDIRE, con l’intelligenza arriva a SENTIRE, ma solo per mezzo della coscienza è capace di ASCOLTARE.
“Ascoltare”, secondo il medico Alfred A. Tomatis, “significa passare dalla sensazione alla percezione.”
Gli uomini primitivi vivevano con “l’orecchio all’erta”, al fine di poter individuare ogni rumore anomalo e ogni possibile pericolo. La prima funzione dell’orecchio, in effetti, fu proprio quella della difesa. L’uomo, però, non tarderà a trasformare questo suo strumento da mezzo difensivo, a sistema utile alla conoscenza e alla comunicazione.
I primi suoni che l’uomo imparò ad ascoltare furono quelli dell' ACQUA e del VENTO. Essi diedero origine ai primi miti, quello di Oceano e quello di Eolo.
La portata di tiro della voce per molto tempo ha condizionato e caratterizzato i canoni architettonici degli uomini. Già l’uomo primitivo rimase affascinato, ma insieme sconvolto, dalle risonanze acustiche delle caverne ove abitava. Anche all’eco sono state assegnate simbologie religiose: il riverbero dei suoni e le loro proprietà, crea l’impressione dell’esistenza di un’entità acustica misteriosa, di un “alter ego” che viene da spazi sconosciuti.
Le capacità uditive sul piano frequenziale vanno da una soglia minima, al di sotto della quale i suoni sono così bassi da non poter essere uditi e percepiti (infrarossi), ad una soglia massima, al di là della quale i suoni non sono più percepibili dall’orecchio umano (ultrasuoni).
L’ascolto avviene con tutto il corpo e non solo, come si potrebbe credere, tramite le orecchie. Infatti è la superficie della pelle che assicura la continuità tra l’udito e il resto del corpo. La sensibilità cutanea è in costante rapporto con la fonazione.
“L’orecchio, il principale dei nostri ricevitori, regola, quando la fonazione inizia, parametri come l’intensità, la durata e il volume, ma non possiede la facoltà di controllare la colata verbale se non a condizione che il registro cutaneo si faccia carico delle relative risposte. Il controllo di questo flusso acustico, che nasce dalla nostra bocca quando parliamo, spetta dunque in gran parte alla pelle. Se questa manca di sensibilità ecco che tutto risulta compromesso: l’iniziazione corporea tramite il verbo non è più possibile. La rieducazione consiste nell’insegnare a un soggetto a servirsi del proprio corpo come di uno strumento musicale.” (Da: A.A. Tomatis, “L’orecchio e la vita”, op. cit.)
Vi sono zone più sensibili all’ascolto, come per esempio la zona frontale in mezzo agli occhi. Inoltre l’udito è in stretto rapporto con gli altri organi di senso; vi è una sorta di connessione organica, ad esempio, tra udito e gesto pittorico (colore): la perdita dei blu e dei verdi in un pittore, è venuta a corrispondere alla sordità per i suoni acuti.
Dal punto di vista fisico è soprattutto la postura a rivelare l’azione equilibrata dell’orecchio: la verticalità, un certo portamento della testa, un incedere particolare tranquillo e ben bilanciato, sono gli effetti evidenti di tale azione. Piano fisico e voce sono strettamente legati. Gli stati d’animo traspaiono sia nell’andatura fisica e corporale, sia dalle modulazioni della voce, dalle inflessioni della catena vertebrale.
E’ bella la voce che provoca nel corpo di chi ascolta risonanze piacevoli. Ascoltare un altro cantare, per esempio, significa entrare in vibrazione con lui. Ciò perché produrre suoni vuol dire far vibrare l’aria attorno ed è in questo che sta la magia della musica.
BIBLIOGRAFIA
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M. Sabin, L. Marcato, "Percezione e Architettura", R. Cortina Ed., MI, 1999
E. T. Hall, "La dimensione nascosta", Bompiani, MI,1996
G. Consonni, "Addomesticare la città", Tranchida Ed. Inchiostro, MI, 1994
O. Marc, "Psicanalisi della casa", Red, Como, 1996
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A. Frutiger, "Segni e simboli", Stampa alternativa/Graffiti, Roma, 1998.pag. 60
F.La Cecla, "Perdersi", Laterza Ed., Roma-Bari, 2000, pag. 151
O. de Carli, “Paesaggi musicali”, in: L.Boesio, L.Micotti, op.cit., pag. 75
A cura di L.Bonesio, L. Micotti, “Paesaggi di Casa. Avvertire i luoghi dell'abitare”, Mimesis,MI, 2003, pag. 9
Kevin Lynch, "L'immagine della città", Marsilio Ed., VE, 1982
Gordon Cullen, "Aspetti di morfologia urbana", Calderini Ed., 1978
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